è quello dell’American Journal of Sociology che, tra il 1896 e il 1916, sperimenta il rapporto complementare e di reciproca stima, attraverso una fertile ma breve collaborazione tra sociologia e fotografia. Questa branca della sociologia qualitativa considera importante l’uso di tecniche e metodi di natura iconica nella ricerca sociale e individua il ruolo primario dell’esperienza visuale nel processo conoscitivo, tramite il dato visuale stesso1.
Quando parliamo di immagini istantanee, in questo caso, facciamo riferimento a tutte quelle fotografie di carattere vernacolare che spesso sono archiviate, e mai catalogate, in case, cassetti, scatole o scrigni di gente che abita un determinato comune, paese o città. Altri luoghi di incredibile testimonianza sono i mercatini delle pulci, fonti inesauribili di immagini che, se pur abbandonate a se stesse negli appositi scaffali, appaiono come un archivio tra i più poetici da incontrare. Una vera fonte di mirabilia.
A stimolare questa ricerca visiva è sicuramente l’indole esplorativa di chi ci si imbatte, dall’accezione geografica e territoriale all’attitudine visionaria e storica, che spesso vede nel viaggio e nell’attraversamento dei luoghi, la rielaborazione di nuove esperienze. Nulla di nuovo se si pensa al famosissimo fenomeno del Grand Tour che sin dai tempi remoti, ha mosso popolazioni di artisti e intellettuali e di gente comune in epoca contemporanea, verso nuove mete, sognate o, ancor meglio, immaginate.
Attraverso paesaggi remoti e marginali, scenari quotidiani, rurali o urbani, luoghi erranti dell’immaginazione, la visione di queste immagini attiva narrazioni che comunicano il passato, storie mitologiche, leggende metropolitane, ma anche nuovi modi di percepire e percorrere il mondo. Sono un’esplorazione benefica per gli abitanti del luogo che ricordano situazioni o memorie passate, ma anche fonte di scoperta per le nuove generazioni che attraverso la visione di queste immagini riscoprono tradizioni e storie lontane.
A partire dalle pratiche tra le più disparate, ad esempio la ricerca negli archivi, le interviste ai protagonisti dei luoghi (gli abitanti, tutti) o l’attivazione di veri e propri strumenti e metodi di indagine, come il photovoice, ci si prefigge di coinvolgere direttamente le persone inducendole a riflettere su specifiche tematiche e sui modi per produrre un cambiamento all’interno della comunità.
Cosa accade quando è invece la pratica artistica o l’intervento di un artista in un luogo a generare un’azione partecipativa?