Miracolosamente Quasi Illeso
Una passione, quella di Dolfi, che ha trovato terreno fertile oltre che nella sua indubbia capacità, nelle disavventure, più o meno vere, che hanno coinvolto i suoi fratelli, gli amici e gli abitanti del paese. E così scopri di come Seppi abbia rischiato ben più di una vita quando, a diciassette anni, decise di tornare ad Alagna per passare il Natale con la sua fidanzata – che ancora oggi è la sua compagna di vita – partendo da Cervinia la notte prima con un paio di scarponi in plastica e gli sci. O di come Don Carlo[12] si rimise in piedi dopo le numerose fratture procuratosi cadendo da una vecchia scala proprio nella sua chiesa. O, anche questo è vero, di quella volta che sul ghiacciaio il suo amico venne travolto da un pazzo che aveva deciso di scendere in bicicletta. La casa di Dolfi è piena di queste stupende immagini che farebbero felice anche Buzzati ma, nella sua semplicità montanara, da lì non usciranno mai.
Dolfi nei suoi ex-voto oltre al classico PGR, Per Grazia Ricevuta, ne ha introdotto un altro, credo mai usato prima (intendo nelle sue vite precedenti), un po’ meno mistico ma efficace: MQI. Ovvero, dopo il pericolo scampato il protagonista, o la protagonista, rimaneva Miracolosamente Quasi Illeso.
Beh, chissà se a noi non è mai capitato, in montagna come in città, di sopravvivere per un pelo a qualcosa che poteva trasformarsi in disgrazia. Magari non crediamo ai miracoli ma, forse, un quadretto di Dolfi potrebbe essere il giusto riscatto alla fortuna. E la scusa per farsi offrire un buon bicchiere di vino con pane nero e mocetta.
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[1] Gli Enzio ad Alagna sono una famiglia importante e numerosa. Dolfi ha dieci fratelli e sorelle (Cristina se ne è andata molti anni fa e poi Giorgio, Berti, Paolì, Giovanni, Toffi, Seppì, Anna, Checco e Pietro). Dolfi è l’unico, tra i fratelli, ad avere un fisico imponente così da riuscire a tenere, con più facilità, attorno a sè l’innumerevole schiera di parenti e amici.
[2] La Val d’Otro è formata dalle frazioni di Otro: Felleretsch, Follu, dove ha casa Dolfi, Tschukke, Dorf, Scarpia e Weng, la più distante presidiata tutto l’anno da Checco e l’alpeggio di Pianmisura.
[3] La fontana è molto grande, composta da grossi blocchi di pietra grigia, con un getto di acqua fresca e trasparente. Tappa obbligata di sosta dopo la bella salita, qualcuno riempie la borraccia, altri si rinfrescano e poi ci sono loro. I proprietari di cani grandi come un’Apecar che, in modo per nulla civile, tuffano l’animale, peli compresi, nella vasca.
[4] Checco, uno dei fratelli di Dolfi, è il vero collante di questa convivenza speciale: vive stabilmente a Weng, nella frazione più lontana: la sua casa, nel muro posto ad est ha l’antico – e piccolo – pertugio dove, si dice, possono entrare ed uscire gli antichi spiriti della valle. Anche lui sarebbe degno di una fiaba dei fratelli Grimm: allampato, con due sopracciglia folte e nere, con un grande e irrinuciabile cappello a falde larghe, sandali anche in inverno e un piccolo trattorino con rimorchio, si occupa, ad Otro, di molte cose. Praticamente di ogni cosa.
[5] Al Belvedere ci lavorò il papà di Dolfi e, ovviamente, tutta la tribù imparò a sciare sulle piste, non proprio facili, di Otro.
[6] Sulle avventure dei fratelli Enzio alla Capanna si potrebbe scrivere un libro. Forse due.
[7] L’Uberlekke è un tipico piatto della popolazione Walser della Valsesia, che un tempo veniva preparato con diversi tipi di carni: vitello, manzo, montone, maiale, pecora e marmotta che d’estate venivano messe sotto sale per essere consumate nei mesi invernali, assieme alle verdure normalmente presenti negli orti montani, quali carote, cavoli, patate e rape.
[8] L’uberlekke, come tutti gli appuntamenti attorno al lungo tavolo imbandito, vede come cuoco, stellato, l’inseparabile (e indispensabile) Enzio, fratello aggiunto a pieno titolo (Enzio però è il nome e non il cognome) alla straordinaria famiglia di Dolfi.
[9] La Camoscetta è il nome della pista da sci – ovviamente non tracciata e nera – che viene percorsa in inverno per tornare ad Alagna dopo una salita ad Otro. La difficoltà della pista aumentata dalla grande carica energetica assorbita da Dolfi e dai suoi ospiti durante la loro permanenza (a tavola) in quota l’ha resa insidiosa a tal punto che chi la percorre ha sentito il bisogno di formare un gruppo, singolare quanto poco accessibile, che ha preso il nome di Compagnia della Camoscetta.
[10] www.academia.edu/1775414 a questo link è possibile ipotizzare una delle vite precedenti di Dolfi (luoghi e nomi sono troppo simili per non farlo).
[11] Alberto ha dovuto persino pagare – marche da bollo e raccomandate varie – per potersi fregiare di questo titolo.
[12] Don Carlo oggi ha ottanta e più anni e gran parte della sua vita (da prete) l’ha trascorsa ai piedi del Monte Rosa. Un erede degno, anche per il carattere liberale, del mitico Gnifetti, quello della Punta – prima era l’impronunciabile Signalkuppe – e della Capanna: è salito duecentonovantatre volte alla Capanna Margherita. Di queste, cinquantacinque le ha fatte partendo in bici da Borgosesia e poi da Alagna tutto a piedi. A Don Carlo sono dedicati quattro ex-voto. Un uomo meritatamente sostenuto dal divino.