Recensione

UNA GONNA GIALLA A QUADRI

(…) se la neve aspetta dietro l’angolo / dietro il monte / dietro il rosa / tu affila i denti, i ramponi, / arrota il passo, acumina la vista; / prova il peso del corpo, saggia l’equilibrio. (F. Pusterla)

Recensione di Davide Torri

28/05/2023
7 min
Ci sono autori, in questo caso autrici, che, nonostante la loro qualità di scrittura riconosciuta dal mainstream di allora (anche se negli anni ‘60 non era così chiamato), faticano a rimanere, come dire, immortali.

Forse perché non erano, e non sono, così aderenti al mainstream.
Giovanna Zangrandi è tra queste.
Ci sono autori, in questo caso autrici, che, dopo un lungo periodo di silenzio, per una casualità tutta da scoprire, ritornano con, addirittura, tre libri negli scaffali delle librerie[1]. Alma Bevilacqua è tra queste. Alma e Giovanna sono la stessa persona[2].

Qua presentiamo Non voglio consigli, non voglio comandi per diversi motivi (non per forza nell’ordine in cui li elenchiamo): perché non è una riedizione; perché è una raccolta ben equilibrata di racconti, trenta divisi in tre grandi temi, che ci dicono molto dell’autrice, dei suoi luoghi, del suo tempo; perché la copertina è una piccola opera d’arte (e non è cosa da poco)[3]; perché Silvia Benetollo, che ne è la curatrice, è una delle autrici e illustratrici premiate (e non una volta sola) al nostro -per ora in letargo- Blogger Contest e non ultimo perché Non voglio consigli, non voglio comandi non è come quei libri di cui si dice:

«Lo hai letto, ti piace? A me no»
«Nemmeno a me, quello che lo scrive è uno dei soliti che per vita intende se stesso, sono stufa di questo brodo»

Dai manoscritti che si trovano nell’archivio custodito da Roberta Fornasier[4], a Pieve di Cadore, Silvia ha sezionato, tra i tantissimi presenti, con sensibilità profonda i racconti presenti nel libro che rappresentano perfettamente la poetica e le tematiche care alla scrittrice: racconti dalla scrittura lieve ed elegante che non riesce, o forse non vuole, celare il male di vivere della Zangrandi, i faticosi rapporti con i suoi concittadini, la personale avversione all’alpinismo spettacolo[5].

gli scalatori, (…) li sentivo estranei e lontani da certe scottanti realtà umane, chiusi spesso nelle loro esaltazioni, nei loro tecnicismi, passioni, errori, manie.

In Cadore è ancora ricordata, non solo come scrittrice ma per la sua figura polivalente, ruvida, complessa, contraddittoria e solitaria e per la sua capacità di adattarsi, resilienza direbbero oggi. Sciatrice, insegnante di scienze (come qualcun altro che ha avuto a che fare con la guerra si era laureata in Chimica), partigiana, costruttrice di rifugi alpini, giornalista, alpinista, affittacamere, ambulante. Taglialegna[6].

Non bastasse il fastidio di questi incontri, per carattere e motivi miei, detesto i ricordi, le nostalgie, ho sempre vissuto di presente, buono o tristo che sia.

I racconti di Non voglio consigli, non voglio comandi ci presentano una montagna vera (anche se l’aggettivo vero, così come bello o giusto hanno il difetto/pregio di uniformare strati di pensieri e sensazioni che andrebbero invece definiti): le terre aspre della dignità, della solidarietà femminile, dei contrasti tra chi ha sperato in qualcosa di nuovo e chi gode del gattopardismo. Anche dopo il dramma della guerra la Zangrandi non abbandonò mai la montagna e per tutta la sua vita ne fece una componente essenziale per suoi racconti e romanzi.

Ci si scambiava parola e il sacro caffè bevuto sullo scalino a balconata sulle praterie vaste.

La scrittura della Zangrandi ti porta dentro l’animo umano, dentro le storie nascoste della gente, ti fa sentire la natura che circonda, senza giudizi, la faticosa quotidianità dei semplici. Avvicinarsi a Non voglio consigli, non voglio comandi, è come percorrere un sentiero tra vecchi castagni in compagnia di due autori che, ognuno a suo modo, sembrano evocati dalla scrittura della Zangrandi. Il primo ha una identica lievità e inquietudine nei personaggi e il secondo possiede gli stessi scenari storici. Ernst Wiechert e Beppe Fenoglio.

Nei suoi romanzi, così come nei racconti, viene solo in parte risolta la ferita esistenziale nata dall’esperienza della guerra e dai duri inverni della Resistenza e la scrittura sublima quello che l’autrice non ha avuto: su tutto la famiglia e i figli (in una parola l’amore). Le sue sono storie fortemente emotive, spesso si tratta anche di avvenimenti personali che hanno segnato profondamente la sua vita.

(…) mio padre; era alto e forte, mi portava su in un sacco come i bambini degli zingheri. Oh, il calore del suo corpo, quella specie di meraviglioso marsupio in cui mi annidavo (…)

In Non voglio consigli, non voglio comandi si mettono in luce personaggi tanto popolari (è stato scritto come la Zangrandi possa essere considerata una scrittrice neorealista) quanto, riletti oggi, contemporanei ai nostri giorni; nonostante il teatro in cui si svolgono i racconti sia geograficamente circoscritto, le vicende, gli umori e soprattutto i giudizi della comunità (giudizi che certamente la Zangrandi sentiva su di sé) sono validi dal Pelmo ai Nebrodi.

E voi siete così giovani, belli, indifesi, non avete addensato nel vostro sangue vigile – come noi facemmo – il veleno di tante amarezze pagate care.

Leggere Non voglio consigli, non voglio comandi ti regala una piacevole sensazione: dentro c’è la bella montagna (ecco, ritorniamo alla difficoltà di definire alcune sensazioni se non con aggettivi semplici ma tant’è).

ALMA L’HO CONOSCIUTA, NEGLI ALTI SCAFFALI
DELLA BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI PADOVA

Prendersi carico di un’autrice, farla sorella e fare propri i suoi scritti, selezionarli, curarli non è cosa da poco e non accetta né finzione né artificio. Perché un buon lavoro di curatela è sempre lungo e a tratti anche faticoso. Perciò diamo parola a Silvia Benetollo.

(S.B.) Alma l’ho conosciuta, in una mattina dell’autunno del 2019, negli alti scaffali della biblioteca universitaria di Padova, dove ero andata a fare ricerca dopo che con Simonetta[7] abbiamo deciso che sarebbe uscita una sua raccolta di racconti con Monterosa Edizioni. Giovanna Zangrandi invece l’ho incrociata per la prima volta sei anni fa, quando in una libreria dell’usato ho trovato il suo primo romanzo, “I Brusaz”. Un romanzo dal quale non sono riuscita a staccarmi se non prima di averlo finito tutto, forse l’unico dopo L’isola di Arturo, di Elsa Morante, che ho letto più volte. E ogni volta ci ho trovato qualcosa di nuovo. Parlo di Alma e Giovanna, perché la prima ha poco a che fare con la seconda. Giovanna, “nata” dopo la resistenza, è una identità faticosamente costruita per aderire principalmente all’imperiosa vocazione di scrivere arrivata dopo la guerra e, anche, di essere parte della nuova patria d’elezione, ovvero il Cadore.

La Zangrandi si considerava una cadorina d’adozione e la sua opera è stata anche un modo per sentirsi parte della gente che lei aveva scelto come “la sua” gente. Lei, che era una ragazza di pianura, aveva scelto la montagna e la gente di montagna come sua patria. Fuori dalla provincia temo sia pressoché dimenticata, nonostante abbia avuto un grande successo negli anni Cinquanta (ho anche un numero di Epoca con una sua intervista). La montagna è stata la prima grande passione di Zangrandi, dalla quale è partito tutto il resto. Chissà se restando a Bologna sarebbe diventata una scrittrice così significativa. Io credo di no.

Della Zangrandi ho letto tutto ciò che è stato pubblicato, anche i racconti apparsi solo su rivista, scovati negli archivi delle biblioteche; è una delle maggiori scrittrici italiane del Novecento. Mi manca un solo romanzo, I diari di Chiara, opera per ragazzi che ha scritto quando già la malattia era avanzata, nel 1972. Manca dalla mia collezione di prime edizioni e credo che ahimè non l’avrò mai. Mi piace tutto, per un motivo molto personale: Zangrandi sembra scrivere apposta per me, sembra che stia parlando a me. E questo credo sia perché era una scrittrice per certi aspetti molto avanti, molto moderna. Una scrittrice ancora in grado di parlare alle donne di oggi, nonostante ciò che ha scritto risalga agli anni ‘60.

_____
[1] I giorni veri. Diario della Resistenza di Giovanna Zangrandi edito da Ponte alle Grazie, 2023. Il campo rosso di Giovanna Zangrandi edito da Club Alpini Italiano, 2022 e, ovviamente, Non voglio consigli, non voglio comandi. Racconti di una vita libera di Giovanna Zangrandi curato da Silvia Benetollo edito da Monterosa Edizioni.it, 2022.

[2] Il vero nome di Giovanna Zangrandi era in realtà Alma Bevilacqua: lo modificò quando decise un cambiamento generale della sua vita, trasferendosi in Cadore lasciando Bologna. I suoi scritti portano la firma di diversi pseudonimi: Alda Bevilacqua (la scrittrice non usa mai il nome di battesimo Alma); Il Falco ma anche Anna Labanti, Anna Monego e Gianna Zanti antecedenti allo pseudonimo Giovanna Zangrandi, che compare per la prima volta negli articoli del 1945, diventando esclusivo dal 1952.

[3] Alma/Giovanna non ha mai battezzato nessuna via sulle Dolomiti ma resta una sua foto in cima al Campanile di Val Montanaia, in compagnia tra gli altri di Attilio Tissi. Da questa foto Silvia ha preso spunto per l’immagine di copertina.

[4] Si tratta della figlia di un amico fraterno della  Zangrandi, Arturo Fornasier, con il quale la scrittrice ha condiviso l’esperienza della Resistenza. Quando nel 1988, alla morte di Giovanna Zangrandi, Arturo Fornasier, forse l’unica persona che ha saputo starle vicino negli anni della lunga malattia, ha avuto in consegna l’archivio della scrittrice, senza saperlo aveva ricevuto anche un altro e importante compito per dimostrare lo smisurato affetto per la sua amica. Nel sottoscala della casa di Borca di Cadore, accatastati malamente ma miracolosamente conservati stavano carte, libri, ritagli, testi e manoscritti: venti e più anni di vita messi su carta.

[5] Zangrandi era una grande atleta, con una fisicità straordinaria. Restano poche e nulle tracce della sua attività alpinistica ed escursionistica, che pure deve essere stata intensa. Detestava chi usava la montagna nei fine settimana per ricercare la prestazione, a volte anche sfogando una certa dose di aggressività. C’è un racconto nella raccolta che lascia trasparire chiaramente questa insofferenza: Cordata a tre.

[6] Così Giovanna Zangrandi viene presentata, in terza di copertina del suo romanzo più importante – I Brusaz – edito nel 1954 nella collana Mondadori de La Medusa degli Italiani: cadorina di adozione, valligiana al cento per cento e laureata in chimica, fu assistente universitaria di geologia e per non lungo tempo anche insegnante di scienze naturali in Magistrali e Licei, Ma insofferente di legami, di vita sedentaria e rinchiusa, preferì assai spesso il lavoro materiale anche pesantissimo o strani traffici (!)  per le sue Valli. La guerra la vide accanitamente ricercata dai tedeschi per la sua fiera italianità malvista in zone atesine; in quell’epoca in cui sbarcava il lunario facendo il portatore, la sarta a giornata, persino la pastora in un gregge di pecore, raccolse e compilò un volume di leggende in cui volle contrapporre uno stile scabro è forte ai favoleggiamenti arcadici che di solito abbondano in tal genere. Dopo la guerra si costruì un rifugio alpino su un valico in Cadore e lo gestì per diversi anni.

[7] Simonetta Radice è il cuore e l’instancabile motore di Monterosa Edizioni.

Non voglio consigli, non voglio comandi

Autore: Giovanna Zangrandi (autore) Silvia Benetollo (curatore)
Editore: Monterosa Edizioni, 2022
Pagine: 198
Prezzo di copertina: € 16,90

Monterosa Edizioni

Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


Il mio blog | Scrivo su altitudini.it da molto tempo. Mi piace starci perché, nonostante sia virtuale, è un luogo dove la concretezza delle persone e delle montagne è sempre lì: da toccare.
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1 commenti:

  1. Marco Rossignoli Marco Rossignoli ha detto:

    Ciao a tutti. Ho letto “ I Brusaz” della stessa autrice ed é un racconto che fa male tanto é schietto. Per compensare ho dovuto guardare una raccolta di “Willy Coyote” che anche lui é sfortunato ma almeno si sorride.

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