Seguendo le mie volontà, anni prima aveva già sparso le mie ceneri dalla cima della montagna sulla quale ora torna per bisogno di una pausa di riflessione. Cammina in salita sulle rocce degli spalti finali, guardandosi attorno ma soprattutto per terra, come se cercasse qualcosa, qualcosa che ha perso. È il solstizio d’inverno, giorno del mio compleanno, meglio, quello che secondo il vecchio calendario si chiamava inverno, una stagione dove le giornate sono troppo brevi per una gita in montagna, a meno di partire presto e tornare molto presto, prima del buio. Ora è la stagione migliore, d’estate fa troppo caldo per camminare in salita, anche verso i duemila metri.
Gli scenari elaborati dai climatologi si sono rivelati troppo ottimistici e comunque irrealizzabili per quanto riguarda la mitigazione del riscaldamento del pianeta. È mancato il tempo, la situazione stava precipitando, ma a parte gli scienziati più responsabili che lo denunciavano e i giovani più svegli che protestavano, nessun altro aveva capito o voluto capire. Accettare che non si poteva più continuare con i consumi insostenibili, vomitando in atmosfera decine di miliardi di tonnellate all’anno di anidride carbonica, sembrava un sacrificio eccessivo. Meglio incrociare le dita e far finta di niente, del resto l’anidride carbonica non si vede e non puzza. Ma la termodinamica non lascia scampo e l’amplificazione dei fenomeni autorinforzanti, come il rilascio del metano dalla tundra artica e la scomparsa del ghiaccio marino hanno accelerato il cambiamento climatico.
D’estate le città della pianura sono invivibili, dei forni dove non si può uscire per la strada. Gli anziani vivono barricati in casa, terrorizzati per le continue interruzioni della corrente elettrica, causa eccessivo uso dei condizionatori. La “bella” stagione è divenuto il periodo di maggiore mortalità, cadono come mosche. Chi aveva le risorse per farlo si è già trasferito definitivamente in montagna, dove i prezzi delle case sono saliti alle stelle. Gli altopiani si sono popolati di genti della pianura, venuta specialmente dalle zone della costa, rese inospitali da violente trombe d’aria e mareggiate autunnali sempre più invasive. Del resto, molte delle attività economiche che vi si svolgevano non sono più possibili, l’acqua dei pozzi è salmastra, fa troppo caldo per passarvi le vacanze, le pinete sono impraticabili per il pericolo di caduta degli alberi e la puzza esalata dalla mucillagine in decomposizione è insopportabile. Venezia è stata praticamente abbandonata a sé stessa, non esiste quasi più il turismo, se non per i curiosi che non vogliono perdere il macabro spettacolo dell’affondamento dei suoi famosi palazzi. Un po’ come accadeva col turismo clandestino nei territori contaminati dall’incidente nucleare di Cernobyl.