Chissà se hanno pagato qualche psicoarchitetto per scegliere il pigmento migliore, che quando un operaio arriva la mattina alle sei meno un quarto, dopo aver parcheggiato, e si sta fumando la prima sigaretta della giornata, guarda il monolite, le montagne, il cielo, poi di nuovo il monolite in cui sta per seppellirsi otto ore anche oggi, e grazie a quel bell’azzurro acceso gli viene un po’ meno voglia di suicidarsi.
Chissà poi se esistono gli psicoarchitetti.
Alla Megafabbrica c’avevo lavorato anch’io. Anche se, probabilmente, a loro insaputa. Per tre anni ho fatto il cameriere alla loro Grande Cena di Natale, che – assieme alla storica gara di corsa in montagna a coppie, e alla sagra della mela prussiana (stranamente tipicità locale) – è uno degli eventi più importanti della valle.
La Megafabbrica si chiama così perché lo è davvero, gigantesca, totemica, colossale. Fisicamente, col suo parallelepipedo che occupa buona parte della valle stretta, ma soprattutto industrialmente e finanziariamente: ora come ora è il leader mondiale dello specifico prodotto che produce, e cioè lenti per microscopi. Da quelle per il Piccolo Chimico a quelle usate nei laboratori di Harvard e Princeton, le lenti migliori, o quelle più di moda, in ogni caso le più vendute, le produce la Megafabbrica.
Tornando alla Grande Cena di Natale, è un evento per il fatto – in altri luoghi forse trascurabile, ma qui no – che ogni anno, a fronte delle sue sterminate possibilità economiche, la Megafabbrica chiama a suonare Qualcuno di Famoso. Una volta Baglioni, un’altra Giorgia, Ligabue, la Mannoia, cose così. Niente cover band, nessun gruppo locale in rampa di lancio, nessun Famosetto. Nemmeno i Modena City Ramblers.
Solo Famosi Veri®. Solo, cioè, Gente della Televisione®.
Ogni tardo autunno s’inizia a percepire nella valle un chiacchiericcio, che parte dalla mensa aziendale e si addensa nei bar, si alza come una nebbiolina di voci che cresce su chi pare verrà sta volta. E ognuno commenta, qualcuno è felice, qualche altro minaccia un’assordante assenza, ma in ogni caso nelle prime settimane di Dicembre ogni volta la valle si riempie di attesa e speranza.
Si riempie di senso, in qualche modo.
Dopo l’acclarata morte di Gesù Bambino e la sempre più precoce scomparsa di Babbo Natale, da queste parti l’arrivo del Famoso Vero® è diventato l’unico sicuro Avvento.
Ma tutti gli anni c’era anche un altro sommovimento, più sotterraneo, generato da chi ad altro titolo cercava comunque un posto nel banchetto della grande balena che ogni Natale andava a spiaggiarsi nella valle stretta: i camerieri. Io ero entrato a far parte di questa particolare setta perché qualcuno, non so più chi, per motivi di salute all’ultimo aveva rinunciato.
Mia zia in qualche modo era in contatto con certi capibastone, e sono stato convocato. La prospettiva, anche per uno scioperato professionista come me, era abbastanza allettante: tre ore di lavoro, massimo quattro; la possibilità di sbocconcellare avanzi di nascosto e con una certa fortuna anche un po’ di vino; ma soprattutto il meschino privilegio di commentare – noi camerieri, in camicia bianca – le mise dei partecipanti all’evento, che per l’occasione sfoggiavano i loro migliori accostamenti di paillettes-pitoni-viscosa-maculato-retato-pezzato-strizzato e in generale tutto l’armamentario estetico che si può registrare in ogni sagra di ogni paese di ogni profondissima provincia del Mondo.
E oltre a tutto ciò, ti mettevano in tasca cento euro lisci lisci, special Christmas Black Edition.
Lunga vita alla balena, lunga vita alla Megafabbrica.
Il concertone invece, quello di solito cercavo di scansarmelo.
“Nemmeno i Modena City Ramblers. Solo Famosi Veri®” ahah
Racconto ironico di vera realtà aziendale mascherata con paillettes
Perché nascondersi dietro un nome falso? Perché aver paura quando si dice il vero? Io lo sostengo da anni la megafabbrica è un mostro sociale. E il peggio deve ancora venire ( parafrasando un famoso ®️)
Ma Camilo o Camillo?!?
Mah …
Camilo, Camilo C. G.
Volendo recuperare la doppia elle, lo potremmo rendere con un autarchico Camillo Centofuochi, magari da noi non più héroe sonriente ma cuoco stellato.
Chissà come sarà il mondo senza la fabbrica, quando il capitale potrà fare a meno, più o meno definitivamente e totalmente, dell’altro classico fattore produttivo, il lavoro. Quando nella megafabbrica verranno introdotti quattromila robot umanoidi, che ne usciranno solo per essere smontati, riciclati e ricondizionati, e la Grande Cena di Natale sarà servita a cento persone in modalità smart e mirrorworld.
Piangeremo, tra vent’anni, che la setta sia quella di coloro che avranno ancora la possibilità di seppellirsi 8 ore da qualche parte per lavorare?
Sarà la contrapposizione irrisolta tra capitale e lavoro che determinerà la fine dell’esistenza umana sulla terra?
Se uno non vuole lavorare in Luxottica può sempre licenziarsi
Bravo! M’è piaciuto per le idee ma soprattutto perchè ben scritto, tanto da poter filar tranquillamente contro vento.