Racconto

Giro in taxi sul Canal Grande con Simon Messner

Sull'isola di San Servolo a Venezia uno spazio espositivo della Biennale d'Arte ospita il bivacco dedicato a Günther Messner. La sua inaugurazione è l'occasione per una conversazione con Simon Messner (alpinista e film maker) nipote di Günther.

Testo e foto di Giacomo Frison e Glorija Blazinšek (altripiani.org)  / Venezia

25/09/2019
3 min
Siamo a Venezia sull'isola di San Servolo e Simon Messner è appena stato presentato alla stampa come atleta ufficiale del gruppo Salewa-Oberalp.

L’incontro si svolge in laguna attorno a quella che oggi è diventata un’installazione artistica della Biennale d’Arte: il bivacco Günther Messner¹, rappresentazione fisica di un ideale rifugio alpino, simbolo delle terre alte come luogo di passaggio e di scambio. Un luogo d’accoglienza, di pace e convivenza che diventa ponte tra le cime e il mare, un ennesimo invito al superamento dei confini e dei pregiudizi di oggi.
Ma il bivacco è anche espressione di semplicità, di essenzialità dello spazio; ridurre al minimo è infatti anche la filosofia dell’alpinista. Eliminare il peso inutile, semplice metafora che funge da motore di grande valore per organizzare al meglio e con la giusta consapevolezza il proprio tempo libero, la propria vita².

Rosso sbiadito e con i segni dell’età e del tempo meteorologico il bivacco Messner fa da cornice a questa conferenza stampa all’aria aperta, si confonde sullo sfondo, sembra a suo agio immerso in questo giardino di tigli, ulivi e piccoli alberi da frutta. Con un po’ di immaginazione lo si riporta facilmente in quota, al limitare di un piccolo bosco, in una radura sotto roccia³.
Nel frattempo Simon sorride e annuisce spesso alle domande che gli vengono rivolte, non è di certo un gran chiacchierone, è lui stesso ad ammettere che preferisce esprimersi con i fatti più che con tante parole. Si considera alpinista al 50%, perché è soprattutto videomaker. Lavora con il papà Reinhold nella realizzazione di film e documentari, ma con un battuta dice che nella vita si può sempre cambiare direzione. Confessa poi che suo padre, inizialmente, faceva fatica ad accettare le sue avventure in montagna, lo voleva proteggere, limitare nella pratica di un alpinismo esplorativo, spesso troppo pericoloso. Allora lui, per essere più agile, ha imparato a raccontare le sue avventure solo una volta tornato a casa senza farsi troppa pubblicità.

I giornalisti da qualche minuto hanno lasciato l’isola e Simon si può finalmente rilassare dopo la girandola delle interviste. Siamo rimasti in “famiglia”, tra coetanei, del gruppo Salewa ci sono Marta e Arno i responsabili marketing, oltre a me e Glorija che abbiamo curato le foto dell’evento. Simon si siede tra noi, accavalla le gambe, beve dell’acqua fresca da una borraccia blu, pesca nel suo zainetto arancione una busta beige di tabacco. Con calma si rolla una sigaretta e l’accende, aspira, capiamo tutti che è il suo momento di pace. Non ama stare al centro dell’attenzione.

Scambiamo alcune veloci battute e scherziamo un po’ nella stanchezza di una lunga giornata. Senza pensarci troppo interrompo nuovamente il silenzio chiedendo a Simon se posso fargli una domanda stupida, mi risponde: «Certo, volentieri!» con mezzo sorriso e un fare già divertito. «Ma tu Simon, sai nuotare? Siamo circondati dall’acqua e la domanda mi viene spontanea…». Mi risponde di sì, ma ammette che dopo alcune bracciate si sente sempre stanco e ha la sensazione di finire sott’acqua e non galleggiare. «Non è di certo la mia comfort-zone» aggiunge, ridiamo ancora e intanto è arrivato il nostro taxi.

Mentre la luce si fa rosea, inizio a raccontargli qualcosa sulla laguna, sulle isole, sulle barche tipiche di Venezia, si meraviglia come si muove tutto molto lentamente. Mi chiede se sotto le case ci sono veramente dei tronchi d’albero, gli rispondo che sotto Venezia c’è un’immensa foresta. Una pausa ed entriamo nel Canal Grande, ammiriamo alcuni campanili, poi i palazzi affacciati sull’acqua. Teniamo il naso all’insù come quando si studiano le pieghe di una parete in montagna, per vedere una nuova via… le finestre, i tetti, i camini, il cielo.
_____
1) Il bivacco è intitolato a Günther Messner, fratello di Reinhold e zio di Simon, morto tragicamente durante l’ascensione del Nanga Parbat nel 1970. Il bivacco è parte del circuito espositivo del Messner Mountain Museum di Solda.

2) ArtintheAlps con Salewa ha dato vita al progetto Bivacco, ideato da Hannes Egger e curato da Christiane Rekade, con la partecipazione degli artisti Jacopo Candotti, Nicolò Degiorgis, Hannes Egger, Julia Frank, Simon Perathoner, Leander Schönweger e Maria Walcher. Le opere, intimamente connesse alla visione e al concetto di terra di passaggio, sono contenute all’interno del bivacco.

3) “Bivacco” è ospitato fino al 30 settembre 2019 nell’Isola di San Servolo (Venezia).  L’installazione può essere visitata ogni giorno durante l’orario di apertura dell’isola. L’isola si raggiunge da San Marco (San Zaccaria), con la linea diretta n. 20 del vaporetto.

Giacomo Frison

Giacomo Frison

Sono nato a Venezia nel 1987. Mi sono appassionato alla montagna grazie agli insegnamenti di mio papà e successivamente negli anni la distanza tra la laguna e le montagne è venuta sempre meno. Sono fotografo e il mio lavoro è principalmente ispirato dal rapporto tra uomo e natura che mi ha portato all'avventura e alla scoperta. Le mie passioni sono combinate in un progetto chiamato ALTRIPIANI, che fonde fotografia, alpinismo, ricerca culturale e antropologica delle zone montane più remote. Sono convinto che una buona storia abbia bisogno di buone foto, ma anche di un buon racconto scritto.


Il mio blog | Altripiani nasce da un gioco di parole. Il progetto è infatti un continuo attraversamento di altipiani e spesso lungo la strada i piani di viaggio si modificano in continuazione, trasformando l’itinerario inizialmente abbozzato. Una continua ricerca dell’altro nell’altrove, per incontrare e indagare sulle diversità tra le culture e le religioni dei Paesi attraversati, tra le tradizioni e le generazioni delle comunità più isolate sulle montagne, evitando i luoghi comuni per cercare quelli d’incontro e di dialogo. Viaggiamo per catene montuose percorrendo un sentiero in continua evoluzione a mente aperta e con una tenda sulle spalle.
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