Ogni anno è la stessa storia. Acio torna in Italia per il suo compleanno, poi andiamo in montagna assieme, poi in qualche modo va a finire a merda. Ecco perché lascio sempre della grappa in macchina: per motivarlo e per rabbonirlo. Tanto mica deve guidare, lui.
Mi avvicino al bordo di questa lingua bianca e infame. Passare sopra? Impossibile, troppo verticale, senza contare che pare un muro a secco fatto su con lo sputo da uno veramente tanto ubriaco. Sotto? Auguri. Tornare indietro? Siamo su da otto ore, più o meno. Siamo stanchi, è un botto di strada. Faccio un altro passo avanti.
«Eh no vec, non vai mica te per primo!» Acio mi prende la spalla, mi trattiene. «Pensaci: poi magari ti caghi addosso, scivoli, cadi, lasci una bella strisciata di merda e sangue e poi muori. E a me tocca anche pestarla! No, vado io, mona.»
Sono sicuro che saremmo stati una coppia bellissima, se il Signore avesse avuto il buon senso di non farci entrambi eterosessuali.
«Vec, sei sicuro?» gli chiedo. «Non è che a stare in Inghilterra ti sei rammollito troppo?»
Mi risponde con un colpo sordo, lo scarpone contro la crosta di ghiaccio. Croc, si rompe, il piede entra abbastanza da far presa. Croc, croc. Sta andando, un passo alla volta, piano e con attenzione. Sto zitto: virtù fondamentale per il buon funzionamento di ogni coppia. Sento borbogliare un mantra di santi e di madonne, ma piano e con creanza. Ha fatto tre metri e mezzo, quando si ferma. Si gira, mi guarda: «ma sul serio, la cosa dei nazisti?»
«No, vec» rispondo. «Le dico che mi hai salvato la vita o roba del genere, ma solo se non la lasci tu, la striscia di merda».
Tre ore di marcio, ravanamenti ed ingiurie più tardi siamo alla macchina. È buio, siamo zuppi, e per farla compiuta c’è pure temporale.
«Senti» gli dico, cauto. «Scusa, scelta infelice, ‘sto posto. Colpa mia».
«Non lo dire nemmeno per scherzo» mi risponde. «Anzi, segna già in calendario l’anno prossimo, sia mai che ti dimentichi. Non una parola con le morose, ok? E tira fuori la maledetta grappa!»