Si risente la nostra voce interiore, che troppo di frequente tace.
C’è un sano bisogno di spazio, di altezza, di distanza, di rarefazione e di semplicità. La montagna ne ha in abbondanza. E la regala. Chi, nella perfetta solitudine dell’inverno, ha attraversato gli altopiani gelati della Riviera di Manna sa di che parlo. E lo sa chi, alle prime tenui luci dell’alba, sbuca dall’Intaiada, alto sopra casera Cimonega, e passa come un’ombra leggera, senza disturbare i camosci accovacciati sopravvento. Stiamo giornate immersi in stimoli sonori, visivi, tattili, olfattivi, sommersi da cose, tirati per la giacca, invitati, sedotti, tentati, spinti, tirati a fare quel che altri desiderano che noi si faccia. Tutta questa giostra che gira, suona e luccica ci porta lontano da quel che siamo e vorremmo essere.
Man mano che si sale, prima attraverso i boschi, poi per le prime balze e poi per le “facili roccette”, si abbandona quel circo e si riprende contatto con la nostra intima natura. Lo sforzo diventa fluido, il corpo va, la mente galleggia e si sperimenta la libertà dell’animo nostro, che ci ritorna al fianco. Come un amico, un angelo custode, un “fravashi” persiano, un “ba” o “il doppio egizio”. Si risente la nostra voce interiore, che troppo di frequente tace, lasciandoci incerti, incrodati sui tetti spioventi della vita. Sulle cenge del Focobon, sulle creste del Pradidali, tra le buse delle Vette, nei circhi glaciali del Sella, sulle alte pareti delle Odle stanno dispersi, come ometti di pietra, i nostri sogni e desideri instabili, le nostre sconfitte e ritirate, la chiara, trascorsa e breve giovinezza. Perciò ci siamo ritrovati a celebrare l’anniversario dell’Alta Via 2.
Una fitta cortina di diseguaglianze, estraneità ed esclusione.
L’Alta Via 2, per almeno i quattro quinti, lungo la linea di un vecchio confine tra stati, insanguinato da due guerre. Un confine che, per molto tempo, è stato frequentatissimo. Da profughi, emigranti, pastori, cromere, contrabbandieri, partigiani, innamorati, allevatori, alpinisti, cacciatori, bracconieri e guardie forestali. Un confine che geograficamente non ci dovrebbe essere più. Ed invece è ancora lì immutabile, invisibile ed invalicabile. Non è più formato da muri, reticolati e cavalli di frisia, è formato da una fitta cortina di diseguaglianze, estraneità ed esclusione. Prima sui due versanti del confine le persone s’intendevano, condividevano la stessa vita, si frequentavano e parlavano la stessa lingua. Oggi no. Oggi la diseguaglianza ha scavato un solco. Da un lato sviluppo e crescita demografica, dall’altro stagnazione e spopolamento.
Le crode in alto sono, più o meno, uguali sui due versanti, ma tutto ciò che accade ai loro piedi no.
Gli otto comuni del Süd Tirol, posti lungo l’Alta Via 2, dal 1961 hanno visto crescere la loro popolazione del 61% (+13 mila residenti), i residenti nei quattro comuni trentini sono cresciuti del 18% (+1528 residenti), i residenti nei dodici comuni bellunesi hanno subito un calo del 20% (-9721 residenti). Gosaldo e Sovramonte hanno perduto il 78% e il 60% dei propri cittadini. Le crode in alto sono, più o meno, uguali sui due versanti, ma tutto ciò che accade ai loro piedi no. Ad esempio il turismo. La risorsa è la medesima ma non la capacità di utilizzarla.
Sempre in riferimento ai soli comuni dell’Alta Via 2, negli otto comuni del Süd Tirol ci sono 676 alberghi (con 25 mila letti), nei quattro comuni trentini ci sono 217 alberghi (con 13 mila letti), nei dodici comuni bellunesi ci sono 102 alberghi (con 6400 letti). In altre parole, per ogni comune bellunese in media ci sono 8,5 alberghi con 541 letti, in Trentino ce ne sono 54 con 3294 letti, in Süd Tirol 84 con 3198 letti.