I MIEI STUPIDI INTENTI
Questo romanzo, dallo stile impeccabile, è la celebrazione della vita, della morte e della scrittura. So che non basterà a farvi leggere il libro questa affermazione ma potrei anche non riuscirci con altro perché, in fondo, l’ultimo consiglio di lettura per questa estate parla solo della breve vita di una faina.
La faina, prima che apparisse il miracoloso romanzo del giovane Zannoni[1], non era certo tra i più famosi animali del bosco: trascurato o, al meglio, confuso con la donnola. Archy, il protagonista, una faina maschio, sarà la voce di una storia di grande originalità e umanità nonostante la sola presenza di animali. Un racconto dove le stagioni scorrono abitate da animali[2] che parlano una lingua comune, che hanno tane come case, che appiccano incendi, dove chi è forte domina e chi non lo è soccombe. Archy non è forte, non sa cacciare, è zoppo e ha un fastidioso difetto che lo rende diverso da tutti gli altri. Ha nella sua testa pensieri fatti di ma e se (…) che hanno a che fare con il prima e il dopo, e con Dio.
Proprio per questi difetti (almeno per i primi tre) Archy sarà venduto da sua madre, per una gallina e mezza, a Solomon, ricca, vecchia e disonesta volpe dalla memoria lunga perché sa leggere e scrivere e che, soprattutto, è, o almeno così lei si ritiene, figlio di Dio[3]
“Io sono figlio suo, sono un uomo.”
Solomon porta la giovane faina alla conoscenza di Dio e della scrittura. Archy sarà sempre meno animale, avvierà delle riflessioni che sono alla base della filosofia, scoprirà a sua volta Dio, il tempo e la morte. E sarà meno libero. Illuso, proprio come gli uomini, di poter condurre il proprio destino ignorando che tra la nascita e la morte, tolto il dolore e l’amore – la faina scoprirà in grandi dosi entrambi-, resta poca roba.
Se esiste il male, allora Dio è cattivo. Persisterà in lui l’istinto di sopravvivenza per affrontare la crudeltà e il cinismo del mondo, la voglia di stare nel presente e nella natura, la violenza di Archy è quella che già ha ricevuto.
Non esiste pietà, o amore, o ancora la paura, il dolore, la vergogna; non esiste niente all’infuori di quella spinta cieca, che è sopravvivere, mangiare (…) Imparai ad apprezzare la solitudine e trovare la pace con Dio. Mi fu chiaro che il mondo non odia nessuno, e se è crudele, è perché noi siamo crudeli.