A Bugliaga in inverno
Ero rimasto d’accordo con Norma che sarei tornato prima di Natale a prendere la toma che le avevo fatto mettere via. Mi disse che fino a inizio dicembre stava a Cima Ai Campi, poi secondo il tempo, sarebbe andata fuori a Bugliaga. Così il 12 dicembre, che era una giornata limpida e gelida, la prima giornata veramente invernale dell’anno, salii con Livia ed Enea a Bugliaga. Prima di partire avevo telefonato due volte per sapere se la Norma era a casa, il telefono suonava ma lei non rispondeva e ho pensato che stesse mungendo. Comunque andammo lo stesso perché avevamo voglia di vedere Bugliaga con la neve, e poi il Valerio, un mio amico di Gravellona, mi aveva detto che lì potevo anche trovare del formaggio di capra fatto alle Possette dalla sua amica Letizia. La neve è cominciata al bivio della strada di San Domenico, e anche l’ombra. Il termometro della macchina è sceso di colpo da zero a meno tre, sulla chiesa di Trasquera è arrivato un raggio di sole, poi siamo di nuovo entrati nell’ombra. Il ponte del Diavolo sembrava l’ingresso di Malebolge, Tutto di pietra di color ferrigno, con ghiaccioli appesi alle rocce e una luce livida che si affacciava dagli strapiombi da cui scende il rio Ri, chiamato su alcune carte Gurva. La piazzetta di Bugliaga, anch’essa all’ombra, era coperta di neve: le dieci di mattina, 1314 metri, il termometro segnava meno cinque.
Speravamo di trovare qualcuno che sapesse dove abita la Norma ma in giro, a parte Enea, non c’era un cane, guardammo se qualche comignolo fumasse: niente. Scendemmo fino alla strada per Bugliaga-Dentro, ma non trovammo nessuno e le case erano tutte chiuse, allora tornammo alla macchina e da qui salimmo per la stradina delle frazioni alte, sbucando al sole poco sopra la Torre, una casa-forte con imponenti architravi di gneiss posate sopra porte e finestre da uomini sicuramente giganteschi.
Al sole si stava bene, anche se i piedi nella neve farinosa rimanevano gelati, finalmente vidi una ragazza che camminava davanti a noi, la raggiunsi e le chiesi se era del posto. Disse di no ma lo conosceva abbastanza. Non sapeva dove abitava la Norma però mi spiegò dov’era la casa della Letizia. Così ridiscendemmo verso Bugliaga, e appena rientrati nell’ombra prendemmo la strada per l’Alpe La Balma. Dopo un centinaio di metri trovammo il marito della Letizia che arrivava dalla stalla.
Ci disse di chiamarsi Franco, era già un po’ avanti negli anni, aveva i capelli bianchi ed era vestito abbastanza leggero per quel freddo, ma si vede che i montanari lo soffrono poco. Il formaggio di capra l’aveva finito e ormai le capre erano in asciutta fino a primavera, gliene rimaneva di vacca. Gli dissi che per quello erogià d’accordo con la Norma, gli raccontai tutta la storia e ne approfittai per chiedergli dove stava. Me lo spiegò e mi disse che lei era venuta fuori da Cima ai Campi da poco.
Una normale conversazione cittadina sarebbe finita lì, ma non eravamo in città, infatti Franco ci invitò in casa a prendere il caffè.
Salimmo una scaletta, lui prima di entrare tolse gli scarponi sporchi della stalla, poi entrammo, anche Enea, che era spaesato e si aggirava per la cucina circospetto, forse aveva paura della stufa a legna che brontolava e fischiava, era la prima volta che ne vedeva una.
Parlammo un po’, Franco mi raccontò che aveva fatto il guardiano delle dighe: Lago d’Avino, Valle Antrona, Vannino, poi mi chiese:
– Sei già stato al d’Avino? – avevamo deciso di darci del tu visto che siamo quasi coetanei.
– Sì, sono stato anche quest’estate, dal passo sopra Ponte Campo, – non me ne veniva in mente il nome (Passo del Croso).
– Allora ci sei andato da Drosina.
– Sì, sì, da Drosina, – risposi, e non mi stupii che da alpigiano qual era dicesse il nome dell’alpe e non quello del passo, anche se Drosina (sulle carte Drozina), più che un alpeggio è un prato così ripido che non penso ci possano pascolare le vacche, al massimo le capre.
Si stava bene lì, faceva caldo e il caffè del pariulin era buono. Franco raccontava, raccontava tutta una vita: l’alpeggio di Pianezzoni che con tanti sacrifici aveva rimesso a nuovo, e, di qua del Passo delle Possette, Ciampaldino, dove tiene le capre, e poi le tre figlie, due laureate, e i nipotini di cui ci fece vedere le fotografie.