[ 1 classificato bc.2016 ]
testo e foto di Gian Luca Diamanti / Terni
Il fatto è che il sentiero per ogniddove ti passa sotto il naso. Ma proprio lì sotto.
Basta che si apra il cancello e lo trovi. E lui ti porta fin sulla groppa dei monti, per altipiani, per Appennino, per Alpi e fino a Katmandu se hai muscoli e buon fiuto per seguirlo, per perderti, sapendoti ritrovare.
La libertà della strada e del sentiero, della forra e del valico, l’ho sentita nei mille odori di un pascolo, di una via di transumanza, di una fioritura di orchidee selvatiche, della galaverna che imperla la nudità dei rami, di una pozza d’acqua stagnante, delle foglie di faggio nella neve sciolta dal calore primaverile. Nell’aria sottile che mi fa mancare il fiato. Nei prati sommitali a correre senza sosta tra terra e cielo.
Ho avvertito la commozione animale, istintiva, di chi, vicino a me, ha scoperto il cielo stellato più sicuro del soffitto della sua stanza, il vento in faccia più piacevole di una carezza.
Ho camminato nella polvere, ho riposato sui sassi, sono affondato nella neve fino alla pancia, mi sono bagnato fin nel midollo delle ossa, mi sono coperto di fango e di erbe e lavato nell’acqua gelida dei ruscelli. Sono rotolato giù per ghiaioni, ho invidiato i caprioli, ammirato i lupi, evitato gli orsi.
Ho scortato i perdigiorno mentre osservavo gli uccelli migratori andare e tornare, guidati dall’istinto nel ciclo infinito della loro viandanza, disegnando nel cielo il più bel calendario che io conosca. Sono salito come se il sentiero e le rocce fossero una scala fatata verso un paradiso che ignoro, ma che ci deve pur essere (più su), come se ogni fatica fosse uno dei pioli malfermi di questa scala sconnessa.
Ho scrutato il mondo dall’alto, come facevano i miei antenati. Attento a tutto quello che vedevo muoversi in basso, ma senza mai dimenticare di levare lo sguardo alla luna.
Ho vagato e mi sono lasciato andare, cercando un buon motivo per tornare, per non smarrire del tutto la strada. L’ho trovato in chi mi stava vicino nel cammino.
Non m’importa di non avere un tetto, non m’importa di non avere cibo in abbondanza. Io non chiedo, cerco.
Io mi chiamo Ramingo e sono il cane di un vagabondo.
Felice di condividere la mia libertà con la sua e di muovere le mie zampe accanto alle sue gambe, per i monti. In ogniddove.
[ 1 classificato bc.2016 ]
Bellissima immedesimazione