Racconto

Fuori traccia, a pieni polmoni

testo e foto di Alessandro Galeazzi

Dal Monte Bruffione
26/12/2018
5 min
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La temperatura è abbastanza rigida questa mattina, il sole sembra un timido fuocherello che nulla può se non alleviare lo spirito.

Gocce di ghiaccio timidamente fioriscono sulla barba. Erano mesi che non passavo del tempo seduto in intimità su una montagna accompagnato dalla consapevolezza di essere il solo su questi pendii, l’unico a vivere questi attimi irripetibili.
Una solitudine intensificata dalla rinuncia di qualsiasi appendice elettronica o meccanica. Fuori dal tempo e dal controllo, escluso da qualunque dialogo fittizio. Unicamente io e la montagna.

Ogni volta che affronto un’avventura in solitaria, indipendentemente da quale difficoltà comporti, mi domando il motivo per il quale in quel particolare istante mi sia messo in cammino. Puntualmente la questione si presenta rinnovandosi quasi come fosse una novità fra i miei pensieri. La risposta, sollevando tormente interiori, tarda sempre a germogliare, talvolta rimane ignota. Solamente quando l’insaziabile voglia di salire sempre più in alto, di proseguire oltre, si sazia decidendo di sedermi, capisco che lì è dove vorrei essere, che viaggiare e vivere la montagna è una mia necessità. Semplicemente non ho il coraggio di concretizzare a pieno questo mio desiderio.
Dunque la montagna diventa anche una fuga, la mia fuga dall’agio quotidiano che tanto ci culla, ma che dopotutto tanto confortevole non è. Un’evasione drastica e priva, almeno in quel preciso istante, di compromessi; un’evasione che ci porta ad impattare con l’assurdo di noi stessi, che ci pone dinanzi alle nostre difficoltà, ai nostri limiti, che ci presenta la possibilità della morte.

 Viviamo in un mondo privo di alcun limite, ma che non solo inasprisce e consolida i limiti interiori di ognuno di noi.

Prima di scrivere rifletto molto e mentre la ragione seleziona ciò che l’inchiostro acriticamente fisserà sulla carta, uno strano sorriso si presenta sul mio volto.
Mi rivedo qui rannicchiato nel vento scrivendo queste poche righe unicamente perché a causa di un mio errore di valutazione ho dovuto interrompere la mia salita. La rinuncia…
Sono sinceramente sorpreso da come questa situazione non mi destabilizzi. Più volte sono tornato indietro prima di arrivare dove avrei desiderato, ma mai in completa serenità.
Penso allora alla litania della nostra società beffarda, che ci sussurra nelle orecchie che siamo e viviamo in un mondo privo di alcun limite, ma che non solo inasprisce e consolida i limiti interiori di ognuno di noi, si diletta inoltre ad imporre prepotenti e marcati limiti alla nostra libertà; una società che incita a non rinunciare mai a ciò che si vuole – ce lo ricordano perfino gli stacchi pubblicitari in radio ed in televisione – ma che subdolamente ci abitua alla rinuncia di noi stessi. A tal punto, cosa volere se non il desiderio che ci viene indotto?

Tutti gioiscono plaudendo la ricerca tecno scientifica. Sono molti coloro che, a mio parere, superficialmente si rivolgono con entusiasmo al perpetuarsi della propria vita o ai trasporti ed alle comunicazioni sempre più celeri, ma che la domenica, senza alcun obbligo imposto che riempia la giornata, non sanno minimamente che fare di sé stessi, non conservano un briciolo di animo per essere dove realmente vorrebbero.
Amiamo le autostrade ben illuminate, dove tutto è già prefabbricato pronto al nostro uso e consumo. Sarebbe del tutto folle deviare sulle tortuose stradine ai margini delle protezioni. Quali emozioni dover affrontare? Quali responsabilità? Un rischio probabilmente troppo impegnativo.

Abbiamo ridotto al minimo la nostra capacità di ascolto ed osservazione; vogliamo correre più veloce del vento.

In questo maleodorante ristagno di niente c’è però fretta, fretta di dover fare; ma fare cosa? Il più insignificante obbiettivo va perseguito velocemente, non importa come. La qualità non ci interessa, ne tanto meno i mezzi con i quali ci attrezziamo. Ma il fine non sempre giustifica i mezzi.
Questo frenetico bisogno si riflette inevitabilmente sulle montagne. Abbiamo ridotto al minimo la nostra capacità di ascolto ed osservazione; vogliamo correre più veloce del vento, più veloce dell’effetto di un nostro errore, ma lo si sa, se non saremo in grado di intenderlo prima, la montagna prima o poi rallenterà questa nostra ossessione. Sarà forse allora che sapremo vederci nudi davanti a noi stessi, ai piedi della montagna che da sempre non ha mai celato la sua natura.

Iniziano a scivolare i primi raggi di sole sulla neve; rimango incantato, le paure lasciano spazio al sogno.
Ciò che più mi affascina di questo scritto è il silenzio che interrompe lo scorrere della penna, il bianco che rimane sul foglio. Queste parole, questi accenni di riflessione, probabilmente varranno poco o nulla per il lettore; non si concretizzano in un qualcosa di completamente condivisibile dal momento in cui anche per il sottoscritto sono pensieri che rimangono celati nella nebbia, resi meravigliosi da questa propria natura mutevole.
Ad ognuno di noi spetta la decisione di avventurarsi verso l’ignoto, di addentrarsi nell’oscurità di sé stessi, o di rimanere su vie già battute.
Non si sa mai, magari un giorno i nostri passi si incontreranno verso nuovi orizzonti.

  • Dalla Corna di Savallo
  • Dal Monte Bruffione

Alessandro Galeazzi

Il mio nome è Alessandro. Sin dalla nascita, grazie alla passione trasmessa da mio padre, sono un grande amante dell’avventura in territorio alpino. Cerco inoltre di collegare aspetti legati alla sopravvivenza quotidiana, come il lavoro, alla montagna. La Montagna è la mia libertà, l’aria che mi da vita.


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