Mentre improvviso il percorso che mi condurrà all’appuntamento con i miei compagni di viaggio, ho ancora nel naso l’odore del più difettato dei dieci oli da poco assaggiati.
Del pomodoro verde o dell’erba appena tagliata, dell’itrana franta proprio al momento giusto, nessuna traccia!
Tracce, appunto.
Chissà quante se ne potrebbero disegnare. Riunirle ad esempio per comunione d’intenti, per carattere, per segno zodiacale. Tracciare con un pastello, sulla faccia della terra, i percorsi di tutti quelli che oggi stanno andando alla stazione. Oppure di coloro che hanno la luna storta, che sperano, che gioiscono, che soffrono, che iniziano oppure che finiscono.
Risulterebbero vere e proprie trame di stati d’animo, di predisposizioni, di emozioni, di intenti. Tanti disegni, ognuno di un colore e forma diversi.
«Pronto… ciao amico mio. Credo di essermi perso».
«Ma nno, dove ti hanno mandato?! Seguita su quella strada, tra dièci minuti dovresti essere qui».
E quello mio e di chi come me si incamminava verso un altro disegno intricato della natura che aspetto avrebbe avuto?
Di sicuro avrebbe avuto più tratti di quello di coloro che in quello stesso momento stavano avendo i miei stessi pensieri!
Mentre mi perdevo anche nell’inseguire queste idee, la strada continuava a scorrere, non troppo veloce, sotto le ruote della mia punto color grigio tiepolo.
«Arrivo tardi ad un appuntamento, sto cambiando. No, pur volendo, non sarei potuto partire prima». Oltretutto non avevo nemmeno studiato il percorso «Forse sto cambiando davvero».
Problema inutile, tanto il cambiamento non esiste, solo un veggente potrebbe sostenere il contrario!
«’N paio de chilometri, ‘na rotonda, ‘n discesone e cce stai».
Anche se avrei voluto rispondere «Anvedi aho!», un «Grazie» mi è parso più appropriato e meno rischioso per salutare l’uomo che mi indicava il percorso.
«Ecco, quello è il casello e questo dovrebbe essere il parcheggio. Ci sono».
Parcheggio tra una panda rossa fiammante e tre tipi che stanno tracciando una trama dello stesso colore della mia. Da adesso e per qualche giorno, le nostre mani potrebbero diventare un’unica mano. Disegno comune.
Bagagliaio, casco, zainone, tappetini sì, chiave out, viveri, tappetini no, chiave in.
«Chi saranno questi tipi?», deve aver pensato un signore incuriosito lì intorno tanto da chiedere «Dove andate?»
«Chi, noi? Siamo artisti incompresi.»
Con qualche ora di ritardo rispetto all’altra parte del gruppo, sul far della sera, anche noi partiamo con destinazione Alpi Apuane, Corchia, e lentamente i km che ci separano dalla nostra meta finalmente cominciano a scemare.
Senza dilungarmi troppo su pensieri personali o aneddoti forse anche poco interessanti, il viaggio è durato circa cinque ore, è stato accompagnato da una poesia ostinata e contraria e, divenendo forse prolisso, aggiungerei che ha contribuito ai disegni di tutti coloro che in quegli stessi momenti stavano cercando il metano per l’auto, chiacchierando, mangiando, sonnecchiando, ridendo, stavano interrogandosi, sbagliando strada, inebriandosi con il puzzo della discarica alle porte di Firenze, pagando i pedaggi, leggendo e inviando sms, chiedendosi come stessero gli amici, dove stessero gli amici, se quella percorsa fosse la strada giusta, desiderando il sonno per risvegliarsi l’indomani, percorrendo una strada scarificata…
…fino al momento in cui la nostra auto, ormai stanca di ancheggiare, entra all’interno della essenziale Galleria del Cipollaio, lunga poco più di un chilometro e dritta. Alla fine dell’Ottocento vi passava una ferrovia marmifera. Ora invece vi sfreccia dentro la nostra macchina rossa, come la lingua rossa nella bocca aperta di quell’interminabile serpente d’asfalto che, strisciando, nel risalire, si arresta ora dinanzi al piffero di un incantatore: è passata da poco la mezzanotte, e siamo fermi davanti ad un semaforo inutilmente stakanovista vista l’ora e il presumibile traffico.