Un po’ come qui, roccia e ghiaioni interrotti solo da qualche arbusto buono da mangiare, dai licheni spalmati sulla roccia che lecchiamo senza stancarci. Lui ed io abbiamo percorso molta strada insieme, Lei morì un giorno, non so quale né quando, poiché come tutti gli esseri del mondo animale, ignoro la concezione del tempo.
«Ora la vita è cambiata: il mio branco un tempo era numeroso, attraversava valli, affrontava inverni rigidi tra bufere di neve e scarsità di cibo. Con la stagione calda migravamo più in alto, ma sempre al di sotto della coltre bianca che s’ispessiva con l’arrivo del freddo e, quando i prati tornavano verdi, s’alleggeriva senza mai scomparire. Quel bianco cominciò ad arretrare, divenne un fiume fragoroso che giorno e notte scendeva la valle; da fiume si fece torrente, poi ruscello, fino a rimanere asciutto proprio come è oggi. C’erano allora alberi snelli e alti, fiori e bacche. Noi maschi in piccoli gruppi raggiungevamo di rado le quote dove ora invece viviamo, oltre i tremila metri. Poi in silenzioso accordo il girovagare si interrompeva e con il muso tra le rocce, cercavamo l’erba più verde e più fresca. Ci guardavamo attorno, annusavamo l’aria e ancora il capo chino su un germoglio che brucavamo fino alla noia. Non eravamo soli: c’erano specie che abitavano queste rocce, tra anfratti e buche scavate nella terra o nidi ben nascosti. C’erano centinaia di impronte che percorrevano la schiena della montagna. Minuscole e frettolose erano quelle dei topolini; eleganti con un passo davanti all’altro quelle delle volpi; coppie di balzi anteriori, singole dietro, quelle delle lepri, esseri abilissimi a mascherare i loro tragitti con spirali concentriche. Salti a traccia doppia conducevano dritti alla tana dell’ermellino, che creatura! Poco più grande della nostra coda, aveva un manto rossobruno che si faceva bianco nella stagione fredda ad eccezione della coda che sulla punta restava nero gracchio. Li vedevamo danzare sulla neve, mettersi dritti, immobili, gli occhi vispi, le minuscole orecchie tese verso la preda. Un giorno non ne vidi più nemmeno uno. E non vidi più alcuna tra queste specie troppo fragili per sopravvivere all’innalzamento delle temperature. Anche il nostro pelo si è assottigliato, è meno folto e più chiaro».
Bellissimo e poetico racconto. Da tenere con sé.
Bellissimo e delicato scritto, quasi un testamento di Mariolina che probabilmente sapeva…: ora Mariolina sale le montagne del Cielo … certo più leggere ed ancora più belle. Carlo Fontana