Racconto

RITORNO A YENDA

Arrivai a Sydney con i capelli lunghi e in tasca 150 mila lire, senza conoscere nemmeno una parola d’inglese e nessuna paura. Trovare un lavoro era la mia priorità e per averlo al più presto pensai che fosse fondamentale avere un bel aspetto.

testo e foto di Johnny Bertelle

L'autore nei primi anni in Tasmania
28/02/2022
4 min
Non ricordo dove lessi qualcosa che parlava del “ritorno”, forse in un testo di Hermann Hesse o in una canzone.

Ricordo bene la sensazione: il cuore che si apre, che preme sulla cassa toracica come volesse uscire, come di una mancanza finalmente colmata, di un sorriso d’amore un po’ amaro.

Yenda è un luogo perso nell’arido entroterra del Nuovo Galles del sud, trasformato dopo la Grande Guerra in un reticolo di canali d’acqua proveniente dalle lontane Alpi Australiane. Nuove terre fertili date ai reduci (i diggers) di quella guerra. Partirono e combatterono per una Inghilterra lontana, per un’idea di patria culturale ormai sbiadita sotto il sole cocente, in una natura difficile e spinosa.

Spesso ho udito il consiglio di donne rassegnate ai loro “doveri coniugali”, che davano ad altre donne più giovani: di sdraiarsi e pensare all’Inghilterra. In altre parole di estraniarsi, di tornare con la mente ai luoghi familiari e sicuri. La stessa cosa che il popolo indigeno di Yenda, gli Wiradjuri, si augurava facessero i coloni e non solo con la mente.
I reduci, per innumerevoli motivi, non si accontentarono di nuove terre rese fertili dai canali per l’irrigazione. Dopo aver girato il mondo, combattuto in Francia, Turchia ed Egitto, una vita monotona non era per loro. Così vendettero le terre e al loro posto arrivarono altri europei fuggiti da paesi in rovina. Qui a Yenda arrivarono i De Bortoli, i Signor, i Marin, i Berton e molti altri nati sulle sponde del Piave.

Io vi giunsi nel 1983 a 22 anni.

Arrivai a Sydney con i capelli lunghi e in tasca 150 mila lire, senza conoscere nemmeno una parola d’inglese e nessuna paura. Trovare un lavoro era la mia priorità e per averlo al più presto pensai che fosse fondamentale avere un bel aspetto. Trovai un negozio dove tutto costava pochissimo e i miei occhi si accesero di stupore davanti al costo irrisorio di un completo beige, anni ’50. Gilet compreso! Uscii dal negozio con addosso il nuovo abito sentendomi come fossi “un milione di dollari” (slang di feeling like a million dollars). Guardai meglio l’insegna del negozio e vidi che un tale Vincent De Paul ne era il proprietario. Subito pensai che quel Vincenzo De Paoli fosse un benefattore veneto. In seguito vidi una insegna come quella in ogni paese e mi resi conto che erano le insegne di una rete di negozi di beneficenza. Spesi il resto dei soldi per un biglietto del treno che mi portò nel Queensland. Lì incontrai Minchio, era originario di Asiago, che mi portò con la sua otto cilindri Holden Kingswood nel Nuovo Galles, appunto a Yenda.

Mi condusse da Sergio, il cui nonno era originario di Sacile. Minchio sparì quasi subito, fece ritorno pochi giorni dopo inseguito, come seppi più tardi, da una donna che avanzava pretese sacrosante.
A Sergio della sua origine friulana era rimasto solo il cognome e una fisionomia vagamente slava. Portava pantaloncini corti, calzini a metà stinco, canottiera blu e aveva dei cappelli informi da pescatore. La sua “farma” (italianizzazione di farm) era un gioiello: lunghi filari di vite rigogliosi e cariche d’uva, alberi di pesco con frutti mai visti così grossi e così gustosi per le mie labbra screpolate, arse dal sole.

Nel contratto era compreso anche l’alloggio. Rimasi a Yenda quattro settimane, raccolsi uva con gran rapidità, guadagnando in quel breve tempo tremila dollari. Sergio e sua moglie Gloria mi trattarono bene, come fossi un parente, ma la loro attenzione era tutta rivolta a una figlia gravemente disabile.
In quel mese di grande caldo e lavoro trovai anche il benvenuto al Diggers Club (Returned and Services League[1]) dove incontrai Doug, neozelandese che mi condusse a fine vendemmia in Tasmania.

Dopo trentasette anni sono ritornato a Yenda. Prima di rivedere il paese ho voluto rivedere la casa di Sergio. La vigna non c’era più, il terreno era incolto e la casa bruciata. Il solo edificio ancora riconoscibile era la “hut”, la capanna dove dormivo e cucinavo piattoni di riso o pasta al ragù.

Entrando nel paese ho visto tante serrande chiuse e il piccolo emporio con le insegne sbiadite. Il Diggers Club era chiuso o forse venduto a chissà chi. Il piccolo ufficio postale invece era ancora in funzione. Da lì spedivo ogni settimana una lettera a mia madre che seguiva con il cuore in gola ogni mio spostamento in questa grande terra così lontana. Le scrivevo delle mie fortune, dei miei stati d’animo e di come sentivo forte e immutato il legame che ci univa. Una volta le telefonai dalla cabina telefonica (anche quella non c’era più), la sua voce mi giunse da lontano, lontano …, la linea telefonica a singhiozzi era bagnata di lacrime.

Ho ritrovato Sergio mentre tagliava il prato davanti la sua nuova casa, portava ancora i pantaloncini corti, i calzini a metà stinco e la canottiera. Mi raccontò di aver venduto la vigna insieme alla casa anni addietro, stabilendosi più vicino al paese. Attorno a casa ora ha un aranceto con grosse arance.
Sergio è rimasto vedovo, accudisce la figlia immobile in sedia a rotelle. Da come ha dilatato le pupille ho l’impressione che mi abbia riconosciuto.

_____
[1] La Returned and Services League of Australia è un’organizzazione di supporto per le persone che hanno prestato servizio o prestano servizio nell’Australian Defence Force.

Johnny Bertelle

Johnny Bertelle

Sono nato a Melbourne, a 4 anni ritorno in Italia con la mia famiglia dopo una crociera di 40 giorni. Durante la naja corono uno dei due sogni di mia madre: conseguire un diploma (prendo quello di rocciatore). Poco dopo l’altro sogno: diventare prete (vado in alpeggio a malga Losco, a Casera Razzo, come pastore di manze, non di anime). Dopo 6 mesi in giro per l'India e il Nepal, a 22 anni, ritorno in Australia. Lì raccolgo mele, avvio ristoranti e laboratori di gelato, lavoro con la forestale, costruisco case in legno e vendo "tempura mushrooms" ai festival della Tasmania. Vivo a Franklin sullo Huon River in una delle mie case, dove offro vitto alloggio ed escursioni, per turisti italiani. Prima di ogni viaggio, per prendere coraggio, andavo sui Monti del Sole con gli amici di allora, le “formiche rosse”: Diego, Aldo, Bob, Manolo, Raffaele e altri ancora. Che bei tempi!


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