Racconto

GIANNI DELLE MONTAGNE

“Me ne vado lietamente a spasso, tenendo a braccetto i monti da una parte e la guerra dall’altra”. Gianni Pieropan: alpinista, scrittore e studioso della Grande Guerra.

testo di Andrea Carta  / Vicenza

01/08/2022
2 min
Il conflitto che insanguinò l’Europa ormai più di un secolo fa ancora oggi richiama grande attenzione, stupore e studio:

capire come e perché una guerra che doveva durare pochi mesi e risolversi in un’area circoscritta diventò invece un inferno che per cinquantuno mesi sconvolse intere nazioni, i loro popoli, gli usi e i costumi… e le montagne.
Infatti, gran parte delle operazioni che, almeno per quanto riguarda il fronte italiano, diventarono tragedie “eroiche” e imprese “memorabili” si svolsero sulle montagne: dalle modeste elevazioni del basso fronte dell’Isonzo e del Carso, al Monte Nero, alla dorsale Carnica, alle Dolomiti, alla lunga trincea dei Lagorai, alle innevate cime dei gruppi Adamello-Presanella e Ortles-Cevedale.

Fu tutto un brulicare di uomini in armi che salivano ambienti da loro quasi mai frequentati prima, costruivano baracche e ricoveri, attrezzavano pareti e creste, armavano fortezze e crode, solcavano ghiacciai e altipiani… affrontando, prima ancora delle crudità della guerra, i grandi disagi dell’ambiente come il gelo, le valanghe, l’isolamento estremo e le grandi fatiche per armare le ardite crode. A fronte, peraltro, di risultati tattici e strategici che non ripagarono mai gli sforzi compiuti e le perdite subite: eredità storica di strategie militari di altri tempi che si rivelarono subito inadeguate alle necessità di una guerra “moderna”.

Tra i numerosi studiosi storici di quella epopea ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che fece della Grande Guerra la sua passione e che la raccontò “prima con la testa, poi con i piedi e infine con la penna”: Gianni Pieropan (Vicenza, 1914-2000).

«Ormai imbruniva piuttosto presto, come succede di primo inverno. Prima d’accendere il canfin la mamma tirava avanti più che poteva, perché il petrolio te lo davano con molto stento e poi costava caro, almeno per noi… Il fuoco stentava quella sera (…) tacevamo assorti a guardarlo. D’un tratto la mamma s’irrigidì, l’attizzatoio brandito, il volto teso: due colpi forti e decisi rimbalzarono sulla porta, la mamma mollò tutto e balzò all’uscio, lo socchiuse e ristette immobile, come di sasso, davanti a un uomo vestito come tanti di quelli che s’incontravano per istrada o quando si andava a veder passare i treni. Passò un momento lunghissimo, quindi l’uomo si mosse e s’abbracciarono stretti. Una mano sul focolare e l’altra per metà ficcata in bocca, io guardavo. Quando si sciolsero (…) la mamma diede una pacca decisa al fuoco che finalmente ripigliò fiato. Poi accese il lume e infine mi depose senz’altre storie sulle ginocchia dell’uomo (…). Così conobbi mio padre.» (tratto da “Due soldi di alpinismo”, suo genuino racconto autobiografico che ritrae uno spaccato di Vicenza tra le due guerre mondiali).

Strada delle 52 Gallerie, Valli del Pasubio (ph. by Salmen Bejaoui on Unsplash)

La sua infanzia, nel primo dopoguerra, non fu facile: l’improvvisa morte della mamma e le difficoltà del papà reduce a trovare un lavoro la misero a dura prova. Trascorse una vita modesta tra i banchi della scuola elementare del Patronato Leone XIII, rallegrata dalle prime amicizie (tra cui Mariano Rumor, Giulio Bedeschi, Giorgio Oliva) e le prime gite in montagna, con la mantellina grigioverde del papà e le rigide sgalmare con le brocche. Nell’autunno del 1927, al Cimone di Tonezza, scattò la molla: Gianni aveva posto il piede sui monti della Grande Guerra, a 13 anni!

La scoperta della bicicletta diede ai ragazzi l’indipendenza e aprì loro la strada per i monti: gli allenamenti in Pasubio, Altopiano, Tonezza, Folgaria – la vecchia Adler a pignone fisso pesava venti chili! – furono la genesi del ciclo-alpinismo. Gli inverni, invece, trascorrevano in soffitta a leggere libri e diari sulla guerra. Poi le prime esperienze in alta montagna, l’alpinismo, con la prima attrezzatura rimediata al Gran Poz, in Marmolada: «… in un grande avvallamento pieno di baracche distrutte e marcite, uscimmo trionfanti con un autentico campionario di rugginosa ferraglia: roba estera di gran marca, la mia prima picozza, i miei primi ramponi…».

Nel 1937 l’incontro con una figura carismatica e di primo piano dell’alpinismo vicentino, Toni Gobbi, favorì la crescita della sua esperienza alpinistica che in quegli anni fu veramente densa. Si stava concludendo un’epoca, il periodo quasi spensierato della giovinezza, della prima montagna: un alpinismo “di quel tempo”, faticoso, genuino, semplice, un po’ romantico se vogliamo, non di tecnica, di sesto grado, di raffinatezze di stile, ma piuttosto di ruzzoloni, di scivolate sulla neve, di qualche bevuta: un alpinismo, insomma, “da due soldi”.

Nel 1940 venne richiamato alle armi e inviato in Albania: “la guerra vissuta da uomo”. Sergente destinato alla maggiorità, tra i molti incarichi ebbe quello dei rilevamenti delle zone operative: esperienza che fu ottima scuola per quelli che diventeranno i suoi particolarissimi disegni topografici con cui arricchì le sue pubblicazioni e non solo.
Nel primo dopoguerra il matrimonio, quindi la ripresa dell’attività in montagna che proseguì per un buon ventennio con le varie associazioni di cui fece parte, con l’organizzazione delle settimane alpinistiche, l’animazione dei convegni triveneti del CAI e l’accompagnamento di comitive e scolaresche sui sentieri storici dei nostri monti.

Lo conobbi all’inizio degli anni Settanta quando, alle mie prime esperienze montane, frequentavo le sci-escursionistiche e le camminate della mezza stagione tra Vezzena, Zingarella, Zebio, Monte Cengio, Ortigara, Monte Fior ma anche i meno noti sentieri del Cosmagnòn, dei Sogi, del Majo, dei solitari altipiani di Lavarone e dei Fiorentini: erano le gite “della Storia”, a volte lunghe, interminabili, ma sempre piene di allegria, di cante, di amicizia e di racconto! Con un parlare schietto e semplice egli trasmetteva, a volte, il suo sapere frutto di tante ricerche; in modo spontaneo, ma non per questo scontato o noioso. Direi piuttosto affascinante ed evidentemente “vissuto”, tanto che noi ragazzotti restavamo increduli quando, per tirare el fià, si faceva sosta di fronte a una trincea o a un forte e Gianni raccontava dettagli anche minuti, con incredibile precisione e conoscenza, tanto che ci chiedevamo se avesse combattuto anche lui con i Fanti della “Sassari” o con gli Alpini sull’Ortigara.

Rifugio A. Papa, Porte del Pasubio (Ph. by Antonio Sessa on Unsplash)

Una volta, in Pasubio, dalle parti della Selletta Comando, sostammo in una zona tutta cocuzzoli e valloncelli, tra detriti di ogni sorta e filo spinato che spuntava in abbondanza: «Ecco, vedete, questo è il Cocuzzolo dei Morti, quello il Cappello del Carabiniere…»: nomi che sulle mappe topografiche non c’erano!
E ancora oggi, quando ripercorro itinerari poco noti, mi affascina quella conoscenza così dettagliata e completa, non solo del più secondario e nascosto anfratto ma soprattutto della cronologia dei fatti che là accaddero, dei nomi dei reparti, dei comandanti, dei soldati che si distinsero, degli orari di assalti e battaglie.

A metà degli anni Cinquanta uscirono le sue prime pubblicazioni, con un alternarsi di articoli, relazioni e guide escursionistiche, pubblicazioni storiche: in totale egli pubblicò una ventina di libri sulla Prima Guerra Mondiale, altrettante guide storico-escursionistiche e una decina di pubblicazioni di vario genere; senza contare i numerosissimi scritti, monografie, studi, recensioni apparsi su giornali, rassegne, riviste o numeri unici.
Molte delle sue opere storiche (come “1916, le Montagne scottano” e “Ortigara 1917”) furono esaurite in pochi mesi e ristampate per anni. Anche nelle guide – culminate nella preziosa edizione del CAI-TCI “Piccole Dolomiti e Monte Pasubio” – il filo conduttore è sempre stato la conoscenza e la ricerca assidua: ripercorrere gli itinerari, descriverne i cambiamenti, ricercare le origini e la giusta dizione dei toponimi; era la doverosa (e assolutamente ammirevole) forca sotto la quale Pieropan si era imposto di passare, prima di mettere nero su bianco (in quegli anni, fu uno dei soli tre storici europei ad avere accesso all’archivio militare austro-ungarico, il Kriegsarchiv di Vienna!).

Fu il lascito della tremenda e tragica storia della guerra in montagna, raccontata senza enfasi e senza quella retorica che trasforma i massacri in sacrifici, che nasconde le follie e le incapacità degli alti comandi sotto i pretesti delle segrete strategie, ma con una grandissima passione e, aggiungo, anche con il cuore. Sì, perché, nonostante lo stile apparentemente ingenuo, Pieropan sapeva scrivere e raccontare con il cuore, libero da ogni vincolo formale! «Poco a valle di Arsiero, dove il Pòsina regala all’Astico le sue acque tiepide e trasparenti, i sassi chiari del greto mostrano spigoli e rugosità che poi si limano quasi del tutto nel paziente loro progredire verso la pianura».

Sempre grande fu la sua disponibilità ad accompagnare studenti e appassionati sui luoghi della Grande Guerra tanto che negli anni Ottanta realizzò per l’emittente Telealtoveneto, con il giornalista Giorgio D’Ausilio, una preziosa serie di documentari televisivi intitolati “Itinerari storici nelle Prealpi venete”.
Fu anche precursore dei tempi: già negli anni Sessanta auspicava iniziative per tutelare il patrimonio storico della Grande Guerra: il “progetto Monte Ortigara”. Progetto che, a distanza di quarant’anni, è stato la base del grande intervento di restauro di molti siti e itinerari della montagna vicentina e non solo.

Fortificazione Austroungarica costruita poco prima della Prima Guerra Mondiale, situato in Vallarsa, sul versante sud del Pasubio (Ph. by Nicola Morandi on Unsplash)

Nell’estate del 1990, pochi mesi prima di essere colpito dall’ictus fatale che lo immobilizzò per sempre, accompagnò una commissione militare della NATO a Caporetto e sul fronte dell’Isonzo. Al termine di quei giorni, il Colonnello inglese comandante la commissione, entusiasmato dalla sua talmente ricca e particolareggiata descrizione, così a lui si rivolse: «So che lei combatté come sergente durante l’ultima guerra e mai avrei creduto di ascoltare da un semplice graduato una descrizione così precisa e così dettagliata degli avvenimenti di questo fronte, completa di dettagli noti solo agli ufficiali superiori o a pochissimi storiografi; in segno di riconoscenza la “promuovo sul campo” e le faccio dono delle mie mostrine».

Una vita, quindi, dedicata alla montagna, nel modo più completo! Una persona di profonda cultura, ricca di altruismo e di calore umano, un eccezionale esperto della storia e del terreno interessato dalle vicende belliche che ha creato delle vere e proprie “opere portanti” della storia e dell’alpinismo dei nostri monti. Parlava sempre guardando lontano, quasi sfuggendo allo sguardo di chi gli stava davanti: «Sono un timido e nessuno lo sa», confessava agli amici più cari… che lo sapevano da sempre.
Con lui in montagna si stava proprio bene: si muoveva con decisione e pazienza, sorridente e disponibile, sapiente, arguto. È stato il tempo dell’amicizia, della semplicità e anche della sincerità.
Da parte mia, nostra, c’è sempre stata profonda ammirazione, riconoscenza e affettuoso ricordo per quel rapporto privilegiato con i monti e quell’infinita curiosità di capire e studiare gli eventi: timidamente orgoglioso di seguirne le orme, gli sono profondamente grato.

E lo ricordo così, con le sue parole di chiusura di “1916: le montagne scottano”:
«E’ con le cose che posseggono un’anima che abitualmente si riesce a parlare, a discutere, ad amare e talvolta persino ad odiare: sentimenti tutti, buoni o cattivi che siano, pur sempre insiti nella natura nostra e che ne costituiscono la forza e la debolezza al tempo stesso.

Nelle mie montagne, e mi scuso pel tono forse eccessivamente possessivo, ho inteso l’esistenza di un’anima fin dall’istante in cui ebbi a posarvi per la prima volta il piede e a deporvi per sempre il cuore.
È da aggiungere che l’anima dei miei monti parla diversi linguaggi cari e intelligibili, da quello della bellezza che natura ha prodigalmente ad essi concessa a quello della solitudine più austera e selvaggia che pochi intendono. Ma quel che di essi forse più m’ha avvinto, quel che ad essi mi tiene avvinto con entusiasmo sempre nuovo è la loro storia di guerra, la storia di gran lunga più nobile e suggestiva che possa distinguere una montagna. Qui raccontando parte di essa, sento di essermi sgravato in pari misura d’un grosso debito, forse immisurabile nella sua vera entità: quello del bene che quei monti m’hanno elargito e che generosamente ancora mi concedono.

Se la pretesa infine non è fuori luogo, mi augurerei d’aver così contribuito a far conoscere ed a far collocare nella più adatta cornice il quadro offerto da un sia pur ristretto periodo della nostra storia che però considero irripetibile sotto molti aspetti ma soprattutto su quello umano; come, del resto, altrettanto irripetibile è l’intero periodo storico configurabile nella Grande Guerra combattuta dall’Italia fra il 1915 ed il 1918.
M’illudo infatti d’aver potuto penetrare, mediante tanti anni di studio e di appassionante ricerche compiute là dove infuriò la lotta, lo spirito che ne informò i protagonisti, dal più gallonato dei generali al più dimesso fantaccino del più profondo meridione d’Italia.
M’illudo insomma d’aver capito e forse fatto capire in qualche modo, perché si moriva e si soffriva in quel tempo: certamente in una maniera che mai più si ripeterà.

Negli stessi amari anni tra il 1940 e il 1943, in quella Seconda guerra mondiale che della prima fu la tragica, e forse inevitabile ma vera conclusione, nonostante l’ossessionante martellare di motivi nazionalistici e militareschi che molto spesso, ed altrettanto impropriamente, si rifacevano proprio alla Grande Guerra, alla guerra cioè di mio Padre, già si moriva e si soffriva con una percezione un tantino diversa del perché di tutto questo.
Ai miei figli, ai nostri figli tutti, io che ho vissuto umilmente la seconda esperienza ed ho cercato di immedesimarmi nella prima, auguro una terza ma non inutile esperienza: quella di non disdegnare lo studio ed il ricordo di come e perché i loro progenitori ed i loro padri s’inserirono nella Storia».
_____
Questo scritto è tratto da una più completa biografia composta nel 1998 da Andrea Carta che realizzò durante la catalogazione e l’archiviazione del patrimonio librario e della corrispondenza di Gianni Pieropan per il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza.

Andrea Carta

Andrea Carta

Sono nato e vivo a Vicenza. Vado in montagna da sempre e in ogni stagione, con me stesso o con chi vuole condividere la fatica del salire, la gioia di arrivare e il desiderio di tornare. Scrivo di montagna e di imprese storiche alpine (vedere http://old.altitudini.it/cima-undici-100-anni-dalla-grande-impresa-dei-mascabroni/), anche con qualche video (https://youtu.be/XKAcjKIh9xE).


Il mio blog | Altitudini è l'unico blog dove a volte scrivo, è trasparente e accogliente, vi ho trovato tante belle persone che, in modi diversi, amano come me la montagna "non solo come impalcatura da arrampicare".
Link al blog

11 commenti:

  1. Giorgio ha detto:

    Bellissimo racconto e personaggio trattato.

    1. Andrea Andrea ha detto:

      Grazie a te.

  2. Enrico ha detto:

    Bravo Andrea ! Ben scritto …fila via !

    1. Andrea Andrea ha detto:

      Maestro di storia, di montagna e di vita!

  3. vittorio giacomin vittorio giacomin ha detto:

    Grazie, bel commento, di una persona semplice, ma di grande intelligenza. Mi è venuta alla mente una bella serata dove Pieropan accompagnava l’indimenticato Renato Casarotto.

    1. Andrea Andrea ha detto:

      Conservo ancora una tenda in Gore-tex cedutami da Renato Casarotto di ritorno da una spedizione… ai bei tempi.

  4. Giuseppe ha detto:

    Un mito che ho sempre seguito, nei suoi libri ho trovato gite che poi ho vissuto, parlo degli anni 80/90/2000, Grande Gianni Pieropan!

    1. Andrea Andrea ha detto:

      Già, un mito, un uomo semplice le cui orme sono da seguire.

  5. Gabriele Villa Gabriele Villa ha detto:

    Interessante contributo che fa venire voglia di approfondire e documentarsi meglio. Davvero stimolante. Grazie.

    1. Andrea Andrea ha detto:

      Molti suoi libri si trovano ancora (librerie specializzate o mercatini): ne vale la pena.

  6. Giuseppe ha detto:

    Bel racconto, Gianni Pieropan lo ho seguito fin da ragazzo, adesso a 78 anni lo rileggo con l’esperiaenza di 60anni di montagna e mi piace sempre di più..

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