capire come e perché una guerra che doveva durare pochi mesi e risolversi in un’area circoscritta diventò invece un inferno che per cinquantuno mesi sconvolse intere nazioni, i loro popoli, gli usi e i costumi… e le montagne.
Infatti, gran parte delle operazioni che, almeno per quanto riguarda il fronte italiano, diventarono tragedie “eroiche” e imprese “memorabili” si svolsero sulle montagne: dalle modeste elevazioni del basso fronte dell’Isonzo e del Carso, al Monte Nero, alla dorsale Carnica, alle Dolomiti, alla lunga trincea dei Lagorai, alle innevate cime dei gruppi Adamello-Presanella e Ortles-Cevedale.
Fu tutto un brulicare di uomini in armi che salivano ambienti da loro quasi mai frequentati prima, costruivano baracche e ricoveri, attrezzavano pareti e creste, armavano fortezze e crode, solcavano ghiacciai e altipiani… affrontando, prima ancora delle crudità della guerra, i grandi disagi dell’ambiente come il gelo, le valanghe, l’isolamento estremo e le grandi fatiche per armare le ardite crode. A fronte, peraltro, di risultati tattici e strategici che non ripagarono mai gli sforzi compiuti e le perdite subite: eredità storica di strategie militari di altri tempi che si rivelarono subito inadeguate alle necessità di una guerra “moderna”.
Tra i numerosi studiosi storici di quella epopea ho avuto la fortuna di conoscere un uomo che fece della Grande Guerra la sua passione e che la raccontò “prima con la testa, poi con i piedi e infine con la penna”: Gianni Pieropan (Vicenza, 1914-2000).
«Ormai imbruniva piuttosto presto, come succede di primo inverno. Prima d’accendere il canfin la mamma tirava avanti più che poteva, perché il petrolio te lo davano con molto stento e poi costava caro, almeno per noi… Il fuoco stentava quella sera (…) tacevamo assorti a guardarlo. D’un tratto la mamma s’irrigidì, l’attizzatoio brandito, il volto teso: due colpi forti e decisi rimbalzarono sulla porta, la mamma mollò tutto e balzò all’uscio, lo socchiuse e ristette immobile, come di sasso, davanti a un uomo vestito come tanti di quelli che s’incontravano per istrada o quando si andava a veder passare i treni. Passò un momento lunghissimo, quindi l’uomo si mosse e s’abbracciarono stretti. Una mano sul focolare e l’altra per metà ficcata in bocca, io guardavo. Quando si sciolsero (…) la mamma diede una pacca decisa al fuoco che finalmente ripigliò fiato. Poi accese il lume e infine mi depose senz’altre storie sulle ginocchia dell’uomo (…). Così conobbi mio padre.» (tratto da “Due soldi di alpinismo”, suo genuino racconto autobiografico che ritrae uno spaccato di Vicenza tra le due guerre mondiali).
Bellissimo racconto e personaggio trattato.
Grazie a te.
Bravo Andrea ! Ben scritto …fila via !
Maestro di storia, di montagna e di vita!
Grazie, bel commento, di una persona semplice, ma di grande intelligenza. Mi è venuta alla mente una bella serata dove Pieropan accompagnava l’indimenticato Renato Casarotto.
Conservo ancora una tenda in Gore-tex cedutami da Renato Casarotto di ritorno da una spedizione… ai bei tempi.
Un mito che ho sempre seguito, nei suoi libri ho trovato gite che poi ho vissuto, parlo degli anni 80/90/2000, Grande Gianni Pieropan!
Già, un mito, un uomo semplice le cui orme sono da seguire.
Interessante contributo che fa venire voglia di approfondire e documentarsi meglio. Davvero stimolante. Grazie.
Molti suoi libri si trovano ancora (librerie specializzate o mercatini): ne vale la pena.
Bel racconto, Gianni Pieropan lo ho seguito fin da ragazzo, adesso a 78 anni lo rileggo con l’esperiaenza di 60anni di montagna e mi piace sempre di più..