25 agosto, primo giorno
San Martino di Castrozza – rifugio Rosetta
La mattina della partenza io e il mio compagno Daniele ci svegliamo alle 6, consumiamo una frugale colazione e montiamo in macchina. Da Milano affrontiamo 4 ore di viaggio che passano velocemente, con l’ambiente circostante che, un po’per volta, si libera dal cemento per accogliere la vegetazione di alta quota. Mi viene in mente “Shining”, la strepitosa scena iniziale, ripresa dall’alto, in cui la macchina corre lungo la strada che si inerpica su per la montagna. Speriamo che, arrivati nei rifugi, nessuno di noi due impazzisca!
Giunti a San Martino di Castrozza ci dirigiamo all’info point dove ci consegnano una cartelletta con materiale informativo e una cartina, su cui è segnato il nostro percorso. Poi andiamo a prendere la funivia diretta al rifugio Col Verde, punto d’inizio del cammino. Lo spostamento è piuttosto breve e l’altezza non eccessiva: io che amo molto stare sospesa nel vuoto (ovviamente in sicurezza) sono un po’ delusa, mentre Daniele che soffre di vertigini tira un sospiro di sollievo.
Giunti al rifugio cominciamo la salita, facile anche per me che non sono abituata alle camminate in montagna. In un secondo momento, però, provo una certa “strizza” perché ci sono diversi punti in cui il percorso è esposto. Un corrimano di ferro mi giunge in soccorso, anche se non riesce a cancellare il senso di precarietà che avverto ad ogni passo. Ogni tanto ci imbattiamo in altre persone, persino in famigliole con bambini la cui vista mi rasserena. Se ci sono dei ragazzini la strada non sarà poi così pericolosa!
Finalmente le zone esposte terminano e ci ritroviamo in un deserto di roccia grigio-bianca immersa nella nebbia, sul quale si erge un imponente traliccio in metallo. Potrebbe essere l’installazione di un artista-montanaro o la Torre Eiffel delle Dolomiti, invece è soltanto un banale traliccio della funivia. L’atmosfera però è tutt’altro che prosaica, la definirei piuttosto onirica e metafisica. Il silenzio è assoluto, surreale, incrinato appena dal “toc, toc” dei bastoncini sulla roccia. Fa decisamente freschino, una sensazione che da mesi avevo dimenticato. Avete mai pensato che quando si prova caldo è praticamente impossibile “risentire” mentalmente il freddo e viceversa?
Proseguiamo l’agevole salita rocciosa e, dopo circa 2 ore e mezza dall’inizio del percorso, giungiamo in prossimità del rifugio Rosetta, che si staglia sul solito deserto roccioso a 2581 metri di quota. Ogni tanto appaiono altri camminatori che emergono simili a spettri dalla nebbia lattiginosa: mi fanno pensare ad alcuni personaggi dei film di Fellini che appaiono all’improvviso avvolti dal fumo come in sogno.
Giunti a destinazione, passo del tempo seduta su di una panchina all’esterno: adesso che pure il “toc, toc” è cessato, il silenzio è davvero assoluto. Oggi la mia mente è fervida, allaccia ciò che vedo e sento a suggestioni cinematografiche e letterarie e il ricordo degli “interminati spazi”, dei “sovrumani silenzi” e della “profondissima quiete” leopardiani nasce spontaneo. Mi lascio beatamente naufragare in questo mare di pietra, poi entro con Daniele nel rifugio.
Qui tutto è caldo e accogliente, c’è legno ovunque (le pareti sono di legno, così come i tavoli e le panche) e quadri con foto d’epoca abbelliscono l’ambiente. Mi colpisce uno scalatore degli anni ‘20, forse ‘30, che per l’abbigliamento pare un impiegato o l’invitato ad un ricevimento. L’alta montagna mi è parsa sempre un luogo accessibile solo a noi moderni, con il nostro abbigliamento tecnico e l’attrezzatura giusta, eppure è stata vissuta anche da persone con attrezzatura antidiluviana, camicette e pantaloni larghi di cotone, scarpe che non useremmo nemmeno per una passeggiata in collina.
Ci viene assegnata la nostra camera, una piccolissima doppia che mi fa sentire un animaletto protetto in una tana. Sono sorpresa e felice perché mi aspettavo una camerata che, per me che non amo la promiscuità notturna, non è mai stato l’ideale.
Alla felicità segue un pizzico di delusione quando mi vado a lavare in bagno e scopro che l’acqua è gelida. Però penso pure che faccia bene, ogni tanto e per breve tempo, abbandonare i comfort quotidiani e fare un salto indietro nel passato. Serve a fortificare corpo e spirito e a tornare con più gusto alla vita agevole di tutti i giorni. Quando mi stendo nel letto realizzo che fa anche freddo e, soprattutto, che c’è umidità: una parte di me si “rimangia” i pensieri di cinque minuti prima!