Vediamo i quattro militi sbucare in vetta dalla cresta nord-est, la piccola croce li accoglie materna. Hanno fatto una via di ghiaccio difficile, ma è lo stesso rassicurante vederli arrivare solo pochi minuti prima di noi. Alle 11,45 siamo in vetta, abbraccio Stefano commosso e tutti ci stringiamo le mani sorridendo. Gli alpini, oltre ad essere in gamba, sono anche simpatici, scambiamo quattro parole in francese, forse in inglese, un po’ in italiano, tanto in montagna ci si capisce sempre.
Ora il tempo dei festeggiamenti è finito, i quattro si rimettono in marcia per la via che abbiamo appena percorso, noi ingoiamo una barretta e li seguiamo dappresso. Temo il ritorno ancora più della salita, siamo in marcia da sette ore, consumati nell’anima e logorati nel fisico. La discesa è un calvario di un’altra ora e mezza in cui la distanza con gli alpini aumenta, di poco, ma aumenta. Non li voglio mollare, percepisco istintivamente che se avremo un problema, loro ci aiuteranno a superarlo. Sono brave persone, preparati e molto più forti di noi.
Alle 13,30 siamo quasi al Molare, gli alpini si stanno calando, ma non sulla Breche de Lory, come avremmo fatto noi, bensì, avendo giuntato le loro corde da 60 metri, direttamente sul ghiacciaio oltre la crepaccia terminale. Una doppia di 55 metri che ci farebbe risparmiare almeno un’ora di tempo e le due preziose viti da ghiaccio che avremmo dovuto abbandonare al Dome per superare la terminale. “Speriamo che ci diano un passaggio”, penso mentre affretto il passo.
Arriviamo all’ancoraggio mentre si sta calando il terzo soldato. Il graduato, rimasto ultimo, controlla la situazione. Sotto, i due alpini già scesi appaiano minuscoli in confronto alla enorme bocca nera del crepaccio: una voragine immensa, già in ombra, buia e cavernosa.
«Voulez vous? …» il sergente di ferro indica la corda con fare bonario.
«Si, grazie! Mercì!» … gli darei un bacio in fronte a quest’uomo tutto d’un pezzo, ma così affabile!
Ormai sono cotto, le ombre che si allungano sul ghiacciaio mi deprimono, non ne posso più, voglio la neve molle sotto i piedi e correre giù fino alla sicurezza della morena, al sentiero a tornanti che conduce a valle! Senza rispettare l’etichetta lascio Stefano per ultimo e scendo in doppia. Ma sbaglio la traiettoria. Nella foga di andarmene da questo posto, per me adesso orrendo, e nella confusione mentale che mi pervade ormai completamente, invece di dirigermi verso la parte strapiombante della parete, che mi avrebbe permesso di superare direttamente in verticale il crepaccio, vado giù dritto, in appoggio, verso la grande caverna, larga tre o quattro metri, che sta per risucchiarmi come la bocca della balena!
Fortunatamente il militare, che tiene la corda da sotto, ha compassione e mi viene in soccorso tirandola dalla parte giusta e tendendomi la mano. È andata, ho fatto una figura di merda, ma non me ne frega niente. Mi raggomitolo sul bordo della traccia di discesa e provo ad addentare qualcosa. Lo stomaco è chiuso, ma almeno bevo. Stefano arriva con il suo solito aplomb, sulle manovre è molto più preparato di me, e aiuta i militari a recuperare le corde.
Quelli ripartono come treni e anche noi ci avviamo, come pesci bolliti, giù per il ghiacciaio in ombra. Ci tengono d’occhio e scompaiono definitivamente dalla nostra vista solo dopo aver controllato che siamo al sicuro, sul piatto Glacier Blanche, al sole finalmente, dopo aver superato la parte ripida e crepacciata.
“Grazie Cacciatori, non ho mai amato tanto i militari come oggi!”
_____
foto:
1. Il Glacier Blanche e la Barre des Ecrins.
2. L’ardito profilo della Barre con la Breche de Lory e il “Molare” in primo piano.
3. Cordata sulle rampe prima del traverso per il Dome de Neige.