E' un po' come la storia del calabrone che secondo la scienza e secondo le leggi della fisica, secondo alcuni, non dovrebbe essere in grado di volare e invece, vola.
E’ una storia che a certi nelle proprie conferenze o nei propri discorsi piace raccontare. E’ una storia non vera – diciamolo – però siamo affezionati all’idea, ci piace il concetto che uno possa fare delle cose che tutti, perfino la scienza e le leggi della fisica, reputano impossibili. Nothing is impossibile, ci piace pensarlo. Volare anche se le leggi dell’aerodinamica dicono che non puoi volare.
Sarebbe bella se fosse vera, la storia del calabrone.
La verità è che il calabrone vola perché lo dice la fisica e anche l’aerodinamica, non perché lo dice lui. La buona volontà da sola non basta. Stessa cosa con Fosbury. Dick Fosbury dico, il saltatore. Fosbury non ha mai battuto un record mondiale – mai – nemmeno uno. Ha vinto un’Olimpiade e ha inventato un modo di saltare girandosi all’indietro, in fondo la sua vera rivoluzione, la sua vera forza è stata la capacità di guardare alle cose in modo diverso dagli altri. Tentare di saltare all’indietro, contro ogni logica, contro la tecnica ortodossa e perfino contro la direzione in cui le articolazioni del corpo umano sono in grado di chiudersi ha significato individuare una direzione. Un ipotetico sentiero da tracciare è divenuto nel tempo strada maestra. Tutti quando parlano di Fosbury e raccontano la sua storia si sentono paladini dell’innovazione e avvertono automaticamente la necessità di dire che ha battuto il record del mondo. O forse siamo noi, tutti noi, che siamo portati a pensarlo e vogliamo sentircelo dire. Il record del mondo sembra una conseguenza logica, un buon finale per una buona storia. Il racconto funziona meglio se si conclude dicendo che Fosbury dopo avere inventato un modo rivoluzionario di saltare in alto ha battuto anche il record mondiale, è più facile da memorizzare. E’ più facile affibbiare a Fosbury la connotazione del genio, dell’innovatore, del rivoluzionario. Viene la tentazione di dirlo e qualcuno lo dice. Però non è la verità e un narratore, anche se è scomodo, anche se la storia funziona meno bene, ha sempre il compito di difenderla la realtà dei fatti quando la conosce. A volte è proprio difficile.
Certe volte me ne vado in giro a raccontare o scrivo delle storie che hanno a che vedere con l’esplorazione e per cercare di spiegarmi meglio, per cercare di spiegare il paradosso della innovazione e della ricerca del limite, il valore dell’avere il coraggio di scegliere punti di vista inconsueti e sentieri meno battuti parlo tra le altre cose di Dick Forsbury e di come lui abbia saputo vedere nella tecnica del salto in alto che ha perfezionato, delle cose che nessun’altro riusciva a vedere. Ha visto delle connessioni Fosbury, delle possibilità. Poi il mondo, tutto il mondo, gli è andato dietro. La traccia che prima era da battere è diventata la strada da seguire.
Studiando la storia di Fosbury e preparandomi a scriverne o a raccontarla mi sono imbattuto anche in un altro personaggio che pochi conoscono e che nessuno mai nomina o ricorda, quando si parla di record e di salto in alto. Vladimir Yashchenko nel 1978 a soli 19 anni a Milano, davanti a 15.000 spettatori, al ventesimo salto della giornata superò la misura di 2 metri e 35 centimetri vincendo i Campionati Europei e stabilendo il primato del mondo. Lo stile di Fosbury venne battuto. Erano già passati dieci anni dal suo salto rivoluzionario che gli aveva consentito di vincere le olimpiadi e cambiato il salto in alto per sempre.
Vladimir Yashchenko fu l’ultimo Re dello straddle, saltava con la tecnica ventrale. Alla vecchia maniera. È per questo che nonostante il suo record straordinario si parla poco di lui, in fondo è un personaggio scomodo. Disturba, Yashchenko. Disturba l’idea del progresso e della creatività che con la vicenda di Fosbury, usandola come metafora di qualcos’altro, ci piace raccontare e sentire raccontare.
Vorremmo tutti dire e sentirci dire che il calabrone vola contro le leggi della fisica e che il mondo cambia grazie alle intuizioni e alle idee rivoluzionarie come quella di Fosbury. E invece il mondo cambia con le idee ma anche con i tentativi falliti, con gli errori, con l’ostinazione e la perseveranza. Gli obiettivi si raggiungono non soltanto grazie alle intuizioni geniali e al talento ma anche grazie all’allenamento e al sacrificio, grazie allo sporco lavoro noioso e ripetitivo. Grazie alle vecchie maniere elevate ad arte. Grazie alla tenacia con cui alcuni insistono nel cercare tracce di vecchi sentieri abbandonati e poco battuti che non sembrano portare più da nessuna parte. In fondo quella di seguire un sentiero nero è una qualità assoluta, sia per chi vuole innovare, sia per chi sente la necessità di resistere e di opporsi al cambiamento.