Racconto

FLORA, TUONI E FULMINI DEL MULAZ

Con Giulia e Alessio eravamo stati in cima al Mulaz per rilevare la flora di vetta, il giorno precedente avevamo raggiunto Cima Cece che è la cima più alta del Lagorai e lambisce di poco il confine del Parco Naturale Paneveggio e Pale di San Martino, rimanendone fuori di un soffio.

testo e foto di Maurizio Salvadori

19/05/2024
5 min
Erano anni che non mi trovavo dentro a un temporale così potente.

Stavamo scendendo dalla cima del Mulaz e prima ancora di arrivare all’omonimo Passo si sentirono i primi tuoni, ma non parevano poi così vicini. A quel punto ci chiedemmo se deviare al rifugio oppure tentare una rapida discesa per raggiungere la macchina alla partenza del sentiero in Val Venegia. Decidemmo di scendere e quindi giù, quasi di corsa mentre una sorta di melassa nuvolosa, scura, densa terrificante tramutò il giorno in notte nel giro di pochi secondi.

Le prime gocce arrivarono in breve accompagnate dal bagliore dei fulmini, dai tuoni e dalla grandine.
Giù a capofitto per il sentiero avvolti nelle nostre giacche mentre l’acqua a iniziava a colare fin nelle scarpe.
Come in una specie di visione onirica, ricordo di aver superato alcuni ragazzi accovacciati tra i massi in campo aperto, di essermi chiesto quale fosse il motivo di quel comportamento e se fosse quella una moderna tecnica di sopravvivenza. Mi rimase la perplessità per un po’ di tempo fin quando li vedemmo arrivare, fradici e quasi in ipotermia, nel mal comodo riparo sotto roccia che ci dava rifugio.

Fu quindi evidente che quella bizzarra tecnica di sopravvivenza non aveva superato il test sicurezza e il vecchio riparo sotto roccia meritava la considerazione anche dei millenials.
Da quel riparo i bastoncini schizzarono fuori come aculei di un porcospino e dati in pasto alle saette che per fortuna non ne furono invogliate.
Il temporale passò nel giro di mezz’ora e scendemmo bagnati e infreddoliti fino alla macchina.

Con Giulia e Alessio eravamo stati in cima al Mulaz per rilevare la flora di vetta, il giorno precedente avevamo raggiunto Cima Cece che è la cima più alta del Lagorai e lambisce di poco il confine del Parco Naturale Paneveggio e Pale di San Martino, rimanendone fuori di un soffio.
L’anno precedente avevamo rilevato Cima Bocche, Cima Vezzana e Cima della Fradusta, all’interno di un progetto che ha lo scopo di monitorare nel tempo l’evoluzione della vegetazione in alta quota come effetto dei cambiamenti climatici.

Quella mattina partimmo di buon’ora e come il solito, seguendo il passo spedito di Alessio, ci trovammo in un attimo al Passo del Mulaz dove Sebastiano, il gestore del rifugio, stava armeggiando con la sua teleferica; non ci fu nemmeno il tempo di fare due parole perché lo slancio ci portò subito oltre, ad inerpicarci sul versante ghiaioso che porta verso la cima, tra le nebbie che andavano e venivano.
Nel frattempo, il palmare di Alessio registrava i nomi delle piante che scorrevano sul sentiero assieme alle coordinate e alla quota, qualche aiuto lo davo anch’io segnalando qualche esemplare più defilato o per far intendere ai due botanici, che qualche specie, alla lunga, m’era riuscito di impararla.

La campanella sulla cime del Mulaz
Draba dolomitica

Quando sbucati a ridosso dell’anticima, dove il sentiero si affaccia sulla Val Venegia, il mondo vegetale cambiò decisamente aspetto.

Come per gli alpinisti e gli escursionisti, anche per i botanici la conquista della cima rappresenta l’atto finale di una ascesa dalla quale ci si aspetta sempre qualcosa di speciale. Valgono per il botanico le stesse aspettative dell’alpinista come il godere del panorama, della fatica fisica ben spesa che produce quell’impalpabile appagamento interiore che fa star bene. A tutto questo si aggiunge, com’è naturale, la curiosità di sapere quali specie floristiche potrà trovare arrivando lassù, perché pure le piante sembrano condizionate dai medesimi piaceri e che la conquista della vetta sia anche per loro una sorta di primato, al quale solamente le più preparate possono ambire.

Proprio per questo, nell’animo del botanico – e forse ancor di più nel botanofilo – l’aspettativa aumenta con l’innalzarsi della quota perché le probabilità di vedere qualcosa di nuovo, raro o semplicemente bello, sono sempre molto concrete.
Tale aspettativa non fu tradita in vetta al Mulaz in quella mattina di corse e di nebbie, quando sbucati a ridosso dell’anticima, dove il sentiero si affaccia sulla Val Venegia, il mondo vegetale cambiò decisamente aspetto.
Lo stacco fu improvviso e si presentarono nuove piante che andavano ad occupare i piccoli ripiani ghiaiosi, le nicchie riparate dal vento o al contrario le creste ventose, alcune specie erano organizzate un po’ come i ragazzi nel temporale, incastrate tra le pietre corrose dal tempo.

Per non tediare chi legge con precisazioni didascaliche del come queste piante possano resistere a tali quote, dirò solo che utilizzano stratagemmi raffinati e testati in migliaia di anni di evoluzione e adattamento.

Giunti a questo punto del racconto, siccome vorrei trasmettere a chi legge tutta la potenza della diversità floristica radunata in quei pochi metri di cima, ho selezionato dall’elenco floristico compilato quel giorno solo le specie rilevate a quota 2900 metri, quindi esattamente la vetta (che metro più metro meno raggiunge quella quota) e ne è uscito un elenco di 28 specie, ma se consideriamo anche i 10 metri sottostanti le specie salgono a 35, numero che forse molti non si aspetterebbero da un ambiente così estremo.

Non starò a descriverle le piante, ma accenno solamente ad una di loro che merita d’essere citata.
Per chi non lo sa, in cima al Monte Mulaz c’è una campana, montata su un trespolo di ferro e sassi con croce e, a ragion veduta, provvisto di parafulmini.
Non ricordo se quando arrivammo l’avessimo suonata quella campana, probabilmente si, cosa che fan tutti come inevitabile tentazione.

Ai piedi di quella struttura in ferro e pietra cresce la mitica Draba dolomitica.
Quella piccola pianticella che spunta numerosa a ridosso dei supporti rugginosi, quella mattina sembrava sfidare la presunta onnipotenza di quel materiale deperibile.
Lo faceva con la fierezza di chi, nel susseguirsi delle generazioni si dimostra quasi eterna.
Chissà da quanti decenni quella popolazione di Draba si trova lassù, magari dal ritiro degli ultimi ghiacci del quaternario, tempi immemorabili che forse solo il riscaldamento climatico di questo nostro antropocene potrà mettere in discussione.

Giulia e Alessio sulla vetta del Mulaz
Androsace hausmannii
Saxifraga facchinii
Eritrichium nanum

La Draba dolomitica è figlia di queste rocce perché qui è stata scoperta ed è stata descritta.

Quella mattina, il suo circoscrivere quell’installazione un po’ fuori dal tempo, sembrava una esplicita rivendicazione sul primato di vetta, perché quelle quote sono per le taglie minute e non per le strutture aggettanti che attirano il fulmine.
Sono quote per piante in miniatura come le drabe, come le androsaci, come le sassifraghe, l’eritrichio, per certe piccole genziane, per le poe e le carici, per le festuche e le minuarzie.
La Draba dolomitica è figlia di queste rocce perché qui è stata scoperta ed è stata descritta. Le Pale di San Martino sono quindi i monti che la tennero a battesimo instaurando con lei un naturale rapporto di stretta famigliarità, definibile quindi come un legame di minerali e di linfa.

Dopo questa scoperta il meteo minacciò e iniziammo così la discesa, non senza però una certa apprensione per quel fatto un po’ inquietante di rivendicazione tra sacro e profano, per quel pensiero silenzioso di vetta che in altri tempi sarebbe parso peccaminoso che si trasformò poco dopo in una violenta tempesta.
_____

Elenco specie alla quota di 2900 m.
Androsace hausmannii Leyb., 2900
Arabis alpina L. subsp. Alpina, 2904
 Carex ornithopodioides Hausm., 2900
Carex parviflora Host, 2904
Carex rupestris All., 2900
Carum carvi L., 2900
Cerastium uniflorum Clairv., 2904
Draba dolomitica Buttler, 2904
Draba tomentosa Clairv. subsp. Tomentosa, 2904
Eritrichium nanum (L.) Schrad. ex Gaudin subsp. Nanum, 2900
Festuca alpina Suter, 2904
Festuca pumila Chaix, 2900
Gentiana terglouensis Hacq. subsp. Terglouensis, 2900
Hutchinsia alpina Aggreg., 2904
Facchinia cherlerioides (Sieber) Dillenb. & Kadereit subsp. Cherlerioides, 2900
Sabulina verna (L.) Rchb. subsp. Verna, 2904
Cherleria sedoides L., 2904
Oreomecon alpina (L.) Banfi, Bartolucci, J.-M.Tison & Galasso subsp. Alpina, 2904
Poa alpina L. subsp. Alpina, 2904
Salix retusa L., 2900
Salix serpillifolia Scop., 2900
Saxifraga caesia L., 2900
Saxifraga facchinii W.D.J.Koch, 2900
Saxifraga oppositifolia L. subsp. Oppositifolia, 2904
Saxifraga sedoides L. subsp. Sedoides, 2900
Saxifraga squarrosa Sieber, 2904
Sesleriella sphaerocephala (Ard.) Deyl, 2904
Silene acaulis (L.) Jacq. subsp. Acaulis, 2900

Elenco specie alla quota di 2890 m.
Alchemilla connivens Buser, 2890
Anemonoides baldensis (L.) Galasso, Banfi & Soldano, 2891
Arabis bellidifolia Crantz subsp. stellulata (Bertol.) Greuter & Burdet, 2896
Erigeron uniflorus L., 2890
Ranunculus carinthiacus Hoppe, 2890
Salix waldsteiniana Willd., 2891
Taraxacum alpinum Aggreg., 2896

Maurizio Salvadori

Maurizio Salvadori

Lavoro da oltre 30anni al Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, prima come Guardiaparco e poi come Assistente ambientale dove mi occupo di monitoraggio di flora e fauna con tentativi di divulgazione dei temi ambientali. Oltre al territorio del Parco il mio centro di gravità è il gruppo del Cimonega, per comodità e soprattutto per affettività.


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