PASCOLI DI CARTA
Le mani sulla montagna
Questo libro si apre con una lucida e appassionata prefazione di uno dei nostri santi in terra, don Luigi Ciotti. Solo questo basterebbe per renderlo prezioso ma, va detto che questa lucidità e passione accompagnano l’autore per tutte le duecento e più pagine. Perciò se non volete arrivare in fondo a questa mia breve recensione non fa nulla: leggete il libro e bravi così.
Giannandrea Mencini, storico, saggista, con un viso sempre sorridente utile ad affrontare meglio quanto descritto in Pascoli di Carta, un viaggio attraverso le montagne d’Italia[1] . Un viaggio in montagna che spiazza e fa arrabbiare. Si affronta un tema, quello dell’infiltrazione mafiosa nella gestione dei pascoli e delle malghe, con precisione ed equilibrio. L’Italia, così come gran parte degli Stati europei, riceve finanziamenti comunitari a sostegno dell’agricoltura ma il sistema che regola tale gestione appare ancora una volta eccessivamente burocratico e vessatorio verso i deboli, che in questo caso sono i contadini e gli allevatori delle terre alte. Non si tratta di poca roba: il quaranta per cento del bilancio dell’Unione Europea va nell’agricoltura, in Italia si tratta di oltre 10.400 milioni di euro. Dieci miliardi di euro che sono una bella cifra. E quando si parla di queste cifre non è difficile immaginare quali sommovimenti, spesso al limite della legalità se non veri e propri comportamenti criminali, vengono attivati.
Mencini è un buon camminatore, ama la montagna e tutto questo gli è servito per regalarci un libro che, raccogliendo voci, articoli, rapporti, indagini, mette ordine e ci fa capire, in mezzo a così tanti attori coinvolti[2], che cosa sono i pascoli di carta, perché sono diventati così tanti e pericolosi per l’ambiente e per noi perché questi pascoli che gli speculatori lasciano incolti(…) seccando diventano ottimo combustibile per gli incendi.
Si parte dal bilancio europeo di cui sopra per arrivare ad aree alpine, pascoli, interi altipiani abbandonati. In mezzo il meccanismo dei “titoli” che, semplificando, se li hai sei ricco (e se vuoi riesci a fare del bene alle bestie che allevi e all’ambiente montano) e se non li hai sei povero (e le tue pecore non hanno nemmeno un filo d’erba da brucare). Se hai il terreno, se hai gli ettari la PAC[3] (nel libro ci sono tante sigle ma non preoccupatevi che Giannandrea è al vostro fianco) ti dà gli euro, poi se il terreno è una scarpata a 2500 metri oppure un bel pascolo dove ci tieni solo un asino a pascolare i soldi te li danno ugualmente perché il problema è che nessun organismo (…) si occupa di controllare e verificare se le richieste corrispondono appunto alla realtà.
Si perché fino a poco tempo fa i contributi li prendevi se assieme al terreno avevi anche i prodotti (mais, vacche da latte, tabacco, e le tante cose che sulla terra si possono coltivare ed allevare) adesso con il disaccoppiamento anche il solo terreno prende valore. L’idea dei burocratici di Bruxelles era anche buona (ovvero premiare il mantenimento del territorio anche nel caso in cui la coltivazione o l’allevamento non fosse redditizio) ma, ufficio dopo ufficio, si è dimostrata capace di produrre truffe, speculazioni e comportamenti formalmente ineccepibili ma che nei fatti (…) attentano alla salute dei cittadini e alla sicurezza dei territori.
In giro per l’Italia, da nord a sud, Mencini incontra tanti tra i protagonisti di questa vicenda: colpiscono le storie che questi raccontano. Ancora una volta la montagna è vittima della cupidigia di una manciata di persone che, per arricchirsi, sono solo capaci di distruggere la Terra, la nostra, di tutti noi, ed è quindi importante sostenere quegli agricoltori e allevatori che con grande orgoglio riescono a vivere in questi luoghi difficilmente raggiungibili.
Un libro che ti lascia l’amaro in bocca ma che ti fa incontrare persone coraggiose e in gamba: con loro le terre alte possono resistere e, come don Ciotti auspica, rifondare il patto di amicizia che ci lega, tutti noi, alla montagna.
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[1] Si parte dalla Valle Camonica per arrivare nei Nebrodi passando dalla Val di Susa (ah! La Val di Susa, come se non ne avesse abbastanza), dalla Val Resia, raggiungendo anche per i vasti altipiani dell’Abruzzo e dell’Umbria.
[2] Difficile fare un elenco esaustivo dei tanti ambiti coinvolti in questa faccenda (ancora più difficile distinguere i buoni dai cattivi): allevatori con e senza scrupoli, amministrazioni di piccoli paesi di montagna senza soldi in cassa, coraggiosi direttori di parchi, funzionari poco puntuali, Finanzieri arguti, pastori senza pecore, pecore senza pastori, parlamentari di ogni ordine e grado e, non ultimo, mafiosi mafiosamente mafiosi.
[3] Politica Agricola Comune europea.