Poche erano le cose che amava più di un sentiero di montagna.
Lo scricchiolio della ghiaia sotto gli scarponi, le nuvole basse pronte a condensarsi in lacrime di pioggia che avrebbero riempito gli occhi verdi degli alberi, le volte del cielo protette dalle fronde, il vento che accarezza, senza fretta ma con meticolosità, prima gli aghi di pino, poi il pelo degli animali, poi le incorruttibili rocce e infine la pelle di qualche fortunato che in quell’angolo di mondo, per scelta o per caso, ci è finito.
Sicuramente un luogo lieto in cui smarrire il pensiero comune. Ma le sicurezze non rientravano negli avvenimenti di quel giorno.
Si volta, “mi risponderai mai?” domanda una voce seccata e impaziente.
Un passo dopo l’altro e la speranza che il peso delle sue domande si mescoli con le amenità della foresta per diluirsi e , infine, perdersi.
Da sempre la montagna anestetizzava i problemi, fosse anche solo per una manciata di ore; ma c’era qualcosa di diverso nell’aria. Una risposta ci voleva. Una risposta la doveva a quella persona che voleva da lei ancora un pò di tempo, ancora un pò di vita. Ma lei di vita ne aveva bisogno come dell’ossigeno in quel momento e non aveva più forza da prestare in giro. Quella che restava la stava impiegando nell’immane sforzo di continuare a risalire il sentiero, come fosse il corpo della persona amata, studiato e toccato bacio dopo bacio.
In realtà sapeva benissimo ciò che voleva dirgli. E aveva scelto il teatro più maestoso e vero per recitarlo ad alta voce. Qualcosa non funzionava però nella domanda, come se la battuta del compagno non fosse quella citata dal copione per attaccare con la sua parte.
Di questo si trattava: decidere se interpretare la spalla o la protagonista.
Era sempre stata ottima nel primo ruolo, docile, mite ed equilibrata.
Ma il passare del tempo le aveva regalato una prospettiva inedita e invitante della seconda.