Nei pullman con i finestrini appannati nessuno parla. C’è ancora l’odore dei panini alla mortadella degli studenti che ci hanno viaggiato tre ore prima, in un altro posto. Adesso invece i pullman sono pieni di gente di montagna che viene portata al mare, negli alberghi, dopo la botta grossa.
Nessuno parla, qualcuno si abbraccia, qualcun altro tiene stretta in grembo una borsa. Chissà quando e se torneranno. Il terremoto ha rotto il loro futuro in pezzi talmente piccoli che è impossibile capire come rimetterli insieme.
Poi una voce: “Avete inteso di Guerrino?”. È una donna anziana dai posti in fondo al bus. “Guerrino non è voluto venire”, risponde un uomo con i capelli arruffati. Guerrino s’è rifiutato di farsi portar via, s’è dato alla macchia. “Guerrino il guerriero!”, ridacchia un adolescente.
Guerrino è l’unico del suo piccolo borgo di cinquanta anime (giusto quante ne servono per riempire un pullman) che ha detto di no. Lui non se ne va. Ma lì non può restare. Le case di pietra possono crollare, il terremoto tornerà a bussare. Occorre lasciar spazio alla grande macchina dei soccorsi. Alle telecamere e a chi si metterà lì davanti.
Guerrino ha sessant’anni. Non ha una moglie. Alleva i maiali, caccia i cinghiali e pesca le trote. Raccoglie funghi e tartufi. Rifornisce le trattorie della zona. Alla fine ha messo su una trattoria pure lui. Non se la passa male. “E se proprio si mette brutta taglio una quercia, vendo la legna e ci campo un mese: e sai quante ce ne ho di querce?”.
La sua terra per lui è un conto in banca. Se gliela levano non ha più credito. Perciò Guerrino rientra di nascosto nella casa di pietra crepata, prende la roncola, il fucile, le salsicce, due coperte di lana, una bisaccia e va verso il bosco per un sentiero che pochi conoscono.
“Io sono Guerrino il guerriero e qui sono il padrone”, dice Guerrino e lo urla, imprecando mentre cammina, ai Carabinieri, al bosco, alle montagne e infine al terremoto.
Guerrino sa che nel bosco c’è una capanna di legno, è diretto lì. Ci vivrà per un po’, finché le montagne non si calmeranno. Intanto prenderà i maiali e lì porterà nella radura, in mezzo alle sue querce. Poi tornerà, restaurerà la casa e riaprirà la trattoria. Guerrino è semplice e concreto.
Arriva alla capanna che è quasi notte. Siamo in novembre e tra le montagne le ombre calano rapidamente. Alcune travi si sono spostate e il tetto si è aperto. Maledetto terremoto, borbotta Guerrino. Gli toccherà provare a dormire guardando le stelle.
Guerrino si addormenta e sogna. Sogna le streghe, le fate cattive, quelle che se la presero con l’altro Guerrino, il Meschino. Poi sogna una mandria di cinghiali che lo caricano, si sveglia e dal buco del tetto vede la montagna che gli frana addosso. Così Guerrino è colto dal panico e la paura dilata quegli istanti. Mentre la terra trema Guerrino ha il cuore in trappola. Capisce di aver sbagliato e per la prima volta si sente piccolo. Ma, per sua fortuna, si fa più piccolo. Così balza fuori dalla capanna e riesce a schivare i massi, come una lucertola, mettendosi in salvo.
Guerrino non ha più imprecazioni e non ha più pensieri. Sale su fino alla cima a vedere il sole che sorge da dietro i Sibillini. Tutto è stato orribile, tutto è meraviglioso. Non se n’era mai accorto prima. Ora sa che non è lui il padrone del bosco e della valle, che non lo è stato mai. Sa pure che neanche il terremoto ne è padrone. Sa che ha fatto bene a restare perché lui è parte di questa terra, come il terremoto.
“Che fine ha fatto Guerrino?”, chiede un paesano nell’albergo sulla costa.
“Sta sempre lì, ci aspetta!”.
(La notte di Guerrino è un racconto di fantasia ispirato a personaggi e storie dell’Alta Valnerina e dei monti Sibillini)