Reportage

Siamo qui per celebrare le montagne

testo di Simonetta Radice, foto Salewa get vertical by Anton Brey

30/08/2018
6 min

Get Vertical è l’ormai collaudata formula con cui Salewa offre ai fortunati vincitori dell’omonimo concorso la possibilità di vivere un’esperienza di un campo base in quota sulle Alpi, con fornitura gratuita di un ricco outfit di prodotti Salewa. I vincitori vengono invitati, in base al proprio livello e alle loro preferenze, in una delle quattro località partner del concorso: Obergurgl-Hochgurgl in Ötztal (Austria), San Martino di Castrozza (Italia), Pontresina (Svizzera) e Val d’Isère (Francia). A seconda della località Salewa accompagna i vincitori a scoprire le emozioni dell’arrampicata, della via ferrata, dello scialpinismo, pernottando in tenda in altitudine (qui le info per la prossima chiamata http://getvertical.salewa.com). Anche in questa edizione un’autrice di altitudini ha partecipato al Get Vertical: Simonetta Radice ci racconta com’è andata.

Giorno zero: “Ma c’è da arrampicare?”
«…Perché se c’è da arrampicare non vengo, non sono capace».
Questa la mia rassicurante risposta all’invito al Get Vertical di Salewa. Get Vertical, hai capito? Che cosa pensi che si faccia? Comunque, dopo aver ricevuto una serie di rassicurazioni sul fatto che sì beh, non c’è esattamente da arrampicare, non saranno vie di roccia, ci sarà un po’ di facile alpinismo in un posto bellissimo… va bene, ok, parto, anzi, non vedo l’ora e in men che non si dica, con una comoda combinazione di treni e gentilezza da parte dei nostri ospiti di Salewa che mi aspettano alla stazione, mi ritrovo catapultata da Milano a Obergurgl, un paesino dal nome impronunciabile nella parte meridionale della Otzatal, la valle che diede il nome alla mummia del Similaun.

Giorno 1: “Celebrating the mountains!”
A Obergurgl siamo arrivati da tutta Europa: Emilia e Asia in aereo dalla Polonia, Alexandru guidando per tutta la notte dalla Romania, io e Sara dall’Italia, e poi Tobias, Flo, Simon, Sara, Bettina, e Pascal… “Perché siamo qui?” ci chiede a bruciapelo Simon di Salewa, mentre ci prendiamo una pausa ungo il sentiero che conduce alla Langtalereckhütte, il rifugio che sarà il nostro campo base per i prossimi due giorni. Qualcuno risponde “To get vertical!” ma è troppo ovvio. “We are here to celebrate the mountains!”. È una frase che mi stupisce piacevolmente: festeggiare le montagne, celebrare le montagne. Ecco, forse il verbo celebrare si addice di più all’ambiente che ci circonda: un enorme ghiacciaio vallivo, cime oltre i tremila metri che richiedono lunghi tratti di avvicinamento, distese di ghiaccio grandiose anche se inevitabilmente in sofferenza… è davvero un luogo magico e solenne, a cui il verbo “celebrare” si accompagna volentieri.
Con noi ci sono tre guide alpine: Manfred, Gabriel e Vitus e il loro aiuto sarà preziosissimo per vivere al meglio le avventure che ci aspettano. Ci dividiamo in piccoli gruppi e per l’indomani decido di aggregarmi alla gita più lunga, forte di una gara di trail running appena fatta, dove sono riuscita a classificarmi ultima (evidentemente ci vuole altro per scoraggiarmi).

Giorno 2: “You can do it!” (e il cielo stellato sopra di me)
La nostra meta è la cima della Hohe Wilde, 3480 m. Sveglia alle 4,30, colazione alle 5, partenza alle 5,45 quando i primi raggi di sole prendono di sguincio le cime più alte, colorandole d’oro e di rosa. Manfred sarà la nostra guida e il mio gruppo è composto da Simon (che ho quasi subito soprannominato “il fortissimo”), Pascal e Flo. Più la palla al piede, naturalmente: Simonetta from Italy. Ci aspetta un lungo avvicinamento al ghiacciaio di circa 5 chilometri. “Halfway to the top!” dico ricordando le parole di Manfred per cui avremmo avuto 10 chilometri di salita. E penso: “5 chilometri di ghiacciaio? Possibile?” Possibilissimo! Mi pianto naturalmente al primo crepaccio, ma per fortuna questo ghiacciaio è piuttosto benevolo e ci porta all’attacco della cresta in maniera relativamente fluida. La cresta si percorre agevolata da un cavo d’acciaio e decidiamo di arrampicarla con i ramponi. Per me che ho l’intelligenza motoria di una cipolla lessa, e che da tutta la vita combatto con la paura del vuoto, non è esattamente un carnevale di Rio, ma Manfred è talmente rassicurante – “You can do it, nothing can happen” è il suo mantra – che nei tratti più esposti mi ritrovo a pensare: “qui dovrei aver paura, com’è che non ho così tanta paura?”

E insomma, incredibilmente mi ritrovo anche io in vetta insieme agli altri. In tutta la salita non abbiamo incontrato nessuno, in vetta ci siamo soltanto noi, il tempo è stabile e il panorama davvero incredibile anche se la salita mi ha richiesto un bel po’ di energie… e siamo solo a metà! Per il ritorno faremo un percorso diverso, attraverso un altro ghiacciaio, più crepacciato, più ripido, più impegnativo: beh già che ci siamo! All’attacco della paretina che dobbiamo affrontare in discesa (una quarantina di gradi a occhio e croce, forse anche qualcosa in più) Manfred ci assicura con una vite da ghiaccio. La discesa richiede attenzione ma le condizioni sono buone e Simon batte un’ottima traccia agevolando moltissimo la mia progressione! Una volta in piano dobbiamo farci strada tra i crepacci. Manfred ci spiega come tenere la corda e non c’è più tempo per gli indugi, bisogna andare e all’occorrenza saltare, evitando possibilmente di atterrare come un elefante in un negozio di cristalli, la mia specialità olimpica.

Devo dire che il ghiacciaio è l’ambiente alpino che più mi affascina. Saperlo leggere, saperne individuare i passaggi è una forma di conoscenza che mi lascia sempre senza parole. E così arriva anche il momento in cui il terreno diventa davvero facile, e alla fine il ghiaccio cede inevitabilmente il passo alla morena, e poi ancora al sentiero e poi… il richiamo irresistibile di una birra, anzi, di una radler! Devo dire che la stanchezza dopo questa prima giornata non scherza, ma sono decisamente più felice che stanca e la giornata è tutt’altro che finita. Questa notte, infatti, dormiremo sotto le stelle con i sacchi a pelo e i sacchi da bivacco che Salewa ci mette a disposizione. A poche centinaia di metri dal rifugio c’è una radura perfetta… le chiacchiere attorno al fuoco sono sempre un momento magico, ma sono davvero troppo stanca, mi infilo nel sacco e ammiro l’incredibile stellata che questa notte ci regala. Qualcuno vedrà anche le stelle cadenti, ma i miei occhi si chiudono prima: quando c’è la stoffa dell’alpinista…

E insomma, incredibilmente mi ritrovo anche io in vetta insieme agli altri

Giorno 3: “Sometimes you win, sometimes you learn”
Le nostre sveglie suonano prima dell’alba. Le attività di oggi ci vedono divisi in due gruppi: il primo si cimenterà nell’impegnativa via ferrata che porta al rifugio Ramolhaus, 3006 m di altezza. Con loro una guida d’eccezione: Christoph Heinz, che ci ha raggiunto per condividere quest’avventura. Il secondo gruppo, a cui decido di aggregarmi raggiungerà lo stesso rifugio salendo prima la vetta dello Schalfkogel (3450 m). Anche in questo caso c’è un lungo avvicinamento a un primo ghiacciaio che attraversiamo facilmente, per poi iniziare una facile e divertente arrampicata su rocce montonate e sfasciumi, che richiedono piede sicuro e al tempo stesso leggero, per evitare di far cadere sassi sulle altre cordate.
Devo dire che il mio livello di stanchezza è veramente alto e mi impedisce di godermi il percorso come vorrei. Anche Emilia è più o meno nelle mie condizioni così, per non rallentare troppo le altre cordate, Vitus, la nostra guida, decide che arriveremo al rifugio facendo un giro più breve, senza toccare la vetta dello Schalfkogel ma attraversandone il ghiacciaio alla base. “Avremo più tempo per goderci la giornata, senza spingere troppo”. E nonostante dispiaccia sempre un po’ rinunciare alla cima, riconosco che non potrebbe avere più ragione. Del resto non mancherà l’avventura in questa escursione in formato ridotto: tanti guadi, piccoli nevai da attraversare e discendere, pietraie non sempre stabili e il rifugio che via via diventa sempre meno lontano.

Il panorama che ci circonda è grandioso: Il ghiacciaio sopra di noi forma tanti piccoli laghetti e in lontananza, circondata dal grande ghiacciaio vallivo, vediamo la Hohe Wilde, la cima di ieri. Negli ultimi metri ci ricongiungiamo al sentiero che sale al rifugio e in breve raggiungiamo la Ramolhaus, un bel rifugio in quota che ci accoglie con ogni genere di dolci tipici! Il pomeriggio non porterà il peggioramento che le previsioni annunciavano ma qualche goccia di pioggia ci permetterà di goderci un bellissimo arcobaleno… un altro regalo di questa giornata! Nel frattempo tutti rientrano alla base, molto soddisfatti dalle avventure vissute. I pomeriggi in rifugio sono fatti di birra e di chiacchiere, e i nostri non fanno eccezione. L’aria dei 3000 metri però è frizzante e così, presto ci rinchiudiamo al caldo dell’interno, non prima di aver scattato ancora qualche foto all’imponente ghiacciaio. Mentre ci scambiamo foto, contatti email e account Instgram (misteriosamente a qualcuno funziona la connessione a qualcun altro no, e io ovviamente sono tra questi) arriva l’ora di cenare e la serata si conclude con un numero di birre che… ci farà onore!

Giorno 4: “Scendere è davvero indispensabile?”
E così arriviamo all’ultimo giorno di questa bellissima avventura. La sveglia suona con tutta calma, oggi dobbiamo soltanto scendere dal rifugio a Obergurgl e abbiamo tutto il tempo. Ma anche questa giornata non sarà priva di emozioni: Manfred infatti ci fa notare una grossa aquila che vola alta nel cielo, accompagnata da quello che sembra proprio essere il suo piccolo! Intanto, mentre ci abbassiamo verso il paese, attraversiamo pascoli antichissimi su un sentiero che degrada dolcemente. A Obergurgl c’è ancora il tempo per mangiare qualcosa, e naturalmente per l’immancabile foto di gruppo, poco prima del momento dei saluti.

A piedi, non senza fatica, attraverso luoghi selvaggi e solitari, lontani dal turismo di massa

La montagna così com’è e come dovrebbe essere
Devo dire che ho molto apprezzato questa iniziativa di Salewa. Il brand, il cui payoff recita “pure mountain” ci ha regalato proprio questo, la montagna pura. Una valle bellissima che richiede di percorrere lunghe distanze e salite su rocce spesso instabili, ma che regala in cambio grandiosi panorami. Escursioni che hanno portato alcuni di noi al di fuori della propria zona di comfort ma con un perfetto accompagnamento da parte delle guide. Una notte in compagnia del solo cielo stellato… insomma, la montagna così com’è e come dovrebbe essere. Ho apprezzato in particolare il fatto che non ci sia stata la rincorsa a quelle classiche attività che potrebbero benissimo essere fatte anche nel fondovalle (vedi gli svariati concerti o DJ set, per non parlare di attività più improbabili che si tengono ormai un po’ ovunque sulle alpi) e che nulla hanno a che fare con l’essenza della montagna. “We are here to celebrate the mountains” ci è stato detto ed è andata proprio così. A piedi, non senza fatica, attraverso luoghi selvaggi e solitari, lontani dal turismo di massa. Personalmente non potevo chiedere di meglio (ammetto di essere abbastanza talebana da questo punto di vista) e ho riscontrato lo stesso entusiasmo negli altri partecipanti. “Non è possibile partecipare un’altra volta?” Simon ci fa capire che è abbastanza improbabile, ma c’è già chi sta pensando a una reunion per scalare altre vette in questa splendida valle.

Simonetta Radice

Simonetta Radice

Giornalista pubblicista, addetta comunicazione. Da sempre amo la montagna e tutto ciò che ha a che fare con essa. La libertà è un poco al di là delle tue paure. Vivo tra Milano e Gignese (VB).


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