Il Viaggio sentimentale nella Resistenza è anche un viaggio nella sconfinata curiosità e grande cultura di Alberto, nel suo vivo sentimento per la libertà e per l’amore.
La libertà Paleari l’ha conosciuta anche nella sua vita precedente quando alpinista, sempre, e guida, per 40 e più anni, ha goduto delle sensazioni che solo chi sale in alto conosce. Qua viene facile ritornare a Daumal con il suo incompiuto Il Monte analogo. Per lui, come per il francese, scrivere e arrampicare sono esercizi di disciplina. Daumal scrive “è necessario che la cima sia inaccessibile ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti” e Paleari risponde per voce di uno dei protagonisti di Viaggio.
“(…) nella mia breve e tardiva esperienza alpinistica (…) non ho mai apprezzato i panorami che si vedono dalle cime, che spesso sono deludenti e consistono soprattutto nella vista delle bassure dalle quali siamo fuggiti e a cui non vogliamo tornare.
E ancora: trovo che le cime alpine siano molto più belle viste dal basso e che la parte più interessante dell’ascensione sia il percorso per raggiungerle”.
C’è tanta montagna dentro i racconti del Viaggio, del resto Paleari è un galantuomo di montagna e la stessa fu, ottanta anni fa, il principale teatro dove si svolsero le tante azioni della Resistenza. Ancora una volta, è la grande abilità dello scrittore a rendere la salita e la cima qualcosa di poetico.
“Ci coprimmo con tutti i vestiti che avevamo e uscimmo al buio, poco più di un centimetro di neve ricopriva il terreno rendendolo scivoloso. Accendemmo le pile frontali e nel loro cono di luce comparvero migliaia di minuscoli cristalli luminosi che vorticavano freneticamente nell’aria. Il risultato di quella meraviglia era che non si vedeva niente”.
Quella del Viaggio è la montagna più disincanta che Paleari abbia mai descritto nei suoi libri. Una montagna, come dire, messa al suo posto.
“(…) in Italia, malgrado la nuova passione alpinistica, non ero diventato un montanaro: assoldavo delle guide per scalare le montagne, praticavo la montagna per sport, facevo del turismo. Come mi sembra frivolo ora tutto ciò rispetto alle occupazioni degli abitanti di Rodakino, che consistono nel procurarsi giorno dopo giorno l’agiatezza in cui vivono e nel trarre soddisfazione dal loro lavoro ben fatto.”
Poi l’amore. Che bravo che sei Alberto nel non esserti trasformato in un vecio (perché vecchio lo sei solo anagraficamente) che ha dimenticato cosa sia l’amore, quali le parole per dirlo, quali i suoi odori, i tempi, le emozioni e le tristezze.
“(…) pensai un’altra volta a Phyllis e mi venne da chiedermi: cos’avrà mai trovato in me? Ma sapevo che era una domanda senza risposta: siamo sempre amati per motivi che non sospettiamo”.
E, soprattutto, che bravo che sei nel ricordare di cosa l’amore, più delle montagne, più di ogni lotta per quanto giusta, è in grado di fare.
“(…) Eleni è immortale, perché non si è mai curata e non si cura della morte, né della sua né della mia: per lei esiste solo l’incanto del mondo in cui vive e la meraviglia di svegliarsi ogni mattina ancora viva”.
Ecco, chiudo rubando dalle matrioske dal Viaggio sentimentale nella Resistenza alcune righe di Meneghello che parlano di Alberto:
– You a poet? – disse l’ufficiale.
Io gli circondai l’orecchio con le mani, e gridai dentro:
– Just a fucking bandit.
Alberto, un fottuto bandito-poeta. Della montagna, della libertà e dell’amore.
Buon venticinque aprile.
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1) Io e Alberto abbiamo amici cari e comuni in una delle piccole frazioni dell’Alta Valsesia. Anni fa, proprio lì abbiamo condiviso un filetto di cervo fatto su una pietra rovente, ma non è per questo eccezionale evento che dirò di come il suo ultimo libro sia ancor più eccezionale.
2) Dicono le malelingue dalle mie parti, dominate da una sinistra a la page ma culo-e-camicia con una curia antiquata, che sulle delle semplici uova al tartufo questo, il tartufo, venga affettato con un attrezzo in argento. Ma sono solo malelingue.
3) Come non ricordare le parole, venti e più anni fa, di Mario Rigoni Stern: “lo dico sempre: spero di non morire sotto Berlusconi. Non per la mia età, perché potrei andarmene anche domani, ma per il fatto di avere un po’ di speranza sulla vita e sull’umanità”.
4) Sono tanti gli scrittori, e i libri, che ci accompagnano nel Viaggio. Qui è Patrick Leigh Fermor, considerato il più grande scrittore di viaggio del Regno Unito. Titolo non da poco vista la grande concorrenza nel suo paese procurata ad esempio di Bruce Chatwin, Laurence Osborn e, come ci suggerisce Paleari, Robert Byron.
5) Nell’ultimo racconto che spazio anche per noi di altitudini.it e dei luoghi dove questa idea nasce. Una preziosa gemma che Alberto ci regala: “della Valle del Mis, dove non era mai stato e neppure aveva mai desiderato andarvi, Vincenzo, poco prima di partire per la Sardegna, aveva letto meraviglie nel blog Altitudini, tra quelli di montagna uno dei suoi preferiti”.
6) Forse il Paleari si è trasformato in un barbalbero tolkeniano abbandonando, nel Viaggio sentimentale, la sua tagliente ironia sostituendola con un disincanto saggio e dolente.
Di platino. L’affettatartufi. Così dicono. E stava a casa Feltrinelli. Sì. Quella di Giangiacomo.
Uno spunto curioso per riflettere sul non aver fatto i conti col Fascismo (maiuscolo, perché nome proprio di fenomeno storico) e sulle derive ideologiche di certi epigoni della Resistenza (come sopra). O guerra civile, come sarebbe giusto che gli storici oggi la chiamassero.
E su come oggi abbiamo bisogno di nuove resistenze per nuovi fascismi. Con nuove armi, prime fra tutte l’istruzione.