Non si vedeva a un palmo dal naso, una nebbia fittissima impediva lo sguardo oltre a qualche metro. Nel silenzio assoluto intanto nevicava.
Era già passata un’ora da quando si era calato da quell’esile terrazzino, minuscola cengia di 40 centimetri dove io battevo i piedi e i denti dal freddo. Chiamavo ogni tanto con tutto il fiato in corpo, invano, non mi ritornava alcuna risposta, nessun segno di vita, eppure lui era ancora lì appeso, lo sentivo, lo sapevo, ma cosa stesse facendo era un mistero.
26 giugno 1988
Torre Trieste, spigolo ovest, via Tissi
Avevamo attaccato all’alba anche se il tempo non era dei migliori: qualche nuvola bassa e pesante era incollata alle pareti , ma non minacciava temporali. La decisione era presa: si va su. Lo zoccolo e primi sei tiri erano filati lisci e veloci, la roccia non era proprio saldissima, né la via evidente, ma si sa che le vie di spigolo non corrono mai sugli spigoli, vanno sempre un po’ di qua o un po’ di là e comunque te le devi cercare. Solo al settimo tiro (friabile) avevamo perso un po’ di tempo finendo troppo a destra, quasi nel ventre concavo e marcio della parete, là dove sale la Piussi – Radaelli.
“Se a metà non trovate la via, puntate allora sempre a sinistra, verso lo spigolo” ci aveva detto alcuni giorni prima Gigi Dal Pozzo. Aveva ragione.
Ottavo, nono, decimo… quattordicesimo tiro, come treni veloci su roccia bellissima, salda e proteggibile. Quindicesimo tiro (tratto chiave 5°+ e 6°) inizia a piovere, non forte ma tanto bagnata sì, mannaggia! E sul più bello. Ma, dico io, non poteva aspettare un pochino che eravamo quasi fuori? Niet. Niente da fare.
Decidiamo di andare avanti, perché sopra c’è il Camino Cozzi dove ci sono i punti di sosta per effettuare le calate in corda doppia. Nei colatoi e nei camini quando piove, piove di più che fuori: al loro interno l’acqua si incanala e ti arriva tutta in testa, magari anche con qualche sasso. Restiamo allora fuori: variante Couzy due tiri bellissimi di 6°, un passaggio di 7°, roccia fantastica a buchetti come un gruviera, se non era per la pioggia me la sarei persa, grazie pioggia, grande Couzy. Il Camino Cozzi finisce su un enorme pietrone piatto con sopra suo fratello gemello, enorme e piatto pure lui, ottimo posto da bivacco, piatto, asciutto e sicuro.
Inizia a nevicare. In realtà non è proprio neve, non è nemmeno grandine e neanche pioggia. E’ polistirolo: palline morbide come di polistirolo che nel silenzio assoluto scendono leggere a coprire tutto. Freddo becco.
Attilio Tissi e compagni ci sapevano fare, arrampicavano con scarponi, calzettoni di lana, braghe alla zuava di velluto a coste. Noi invece, che crediamo di esser dei gran fighi usiamo le scarpette (io le Mariacher di due numeri più piccole) per migliorare l’aderenza ed anche senza calzini, sempre per l’aderenza. E’ questi momenti che capisci che avevano ragione loro. Freddo becco.
Non c’è storia, dobbiamo scendere subito con le doppie dal sassone piatto. Scelta intelligente. Le doppie dalla Trieste sono di numero infinito: una, due, tre, quattro… sette, otto.
Terrazzino. Un esile terrazzino immerso nella nebbia e nel polistirolo. Di sicuro siamo sopra la gran cengia superiore, ma non si vede un tubo, nebbione, neve di polistirolo e le corde che, invitanti svolazzano sotto di noi senza che se ne veda la fine.
«Hai fatto il nodo in fondo?»
«Sì, certo!»
«Allora scendo io»
«Vai Paolo!»