Scarico l’App, acquisto cartine, oggetti per i quali ho una vera passione, sovrappongo tracciati, che spesso non corrispondono o addirittura non trovo, calcolo distanze con Google, mi avvalgo di tutta la tecnologia possibile, che so usare male e che in fondo un po’ mi infastidisce, ma mi sembra di avere tutto chiaro; in fondo vado in Canada, seppur in alcune delle zone più selvagge, pur sempre in un luogo dove forse posso permettermi di commettere qualche errore.
Toc, toc, toc! Prendo telecamera, macchina fotografica, tutto il necessario per fermare questa immagine che mi sembra irripetibile. Devo entrare in una proprietà privata, devo farmi strada tra quelle future messi e voglio chiedere permesso.
Toc, toc, toc! Grido al vento per chiedere a quell’uomo chino su quel tetto di lamiera di poter entrare, ma lui non mi sente. Grido più forte, ma il suo capo resta chino sulla lamiera ed il suo martello batte con un ritmo cadenzato. Ad un tratto però qualcosa lo distrae dal suo lavorare, mi vede e con un balzo scende dal tetto ed è lì, difronte a me, sordo come una campana, incapace di sentire e di capire quello che in tutti i modi cerco di dirgli, mentre io non riesco a comprendere quel suo antico dialetto irlandese inasprito dal vento. Ma non serve!
Con la mia mano nella sua, zizzagando mi conduce in quel mare verde; mi sento persa, sono in balia del suo ondeggiare in sintonia con gli alti steli che ci circondano. Mentre fotografo mi sta ad osservare; il suo sguardo, ceruleo e un po’ annebbiato dal tempo sprizza vivacità e affetto. Riprendo la sua mano e dimenticata la prima esitazione mi lascio riportare sulla terra ferma.
Questo però non è The Great Trail.