Il sole dormiva ancora, quando partimmo con le lampade frontali accese per affrontare l’erto sentiero che porta alla cima più alta delle Dolomiti Friulane: Cima dei Preti (2703 m), la terza più alta del Friuli Venezia Giulia, dopo il Monte Coglians e lo Jouf di Montasio.
L’estate era finita: il freddo al mattino cominciava a farsi sentire. Le gocce di rugiada brillavano al passaggio delle nostre luci. Di certo lì non era passato ancora nessuno, le ragnatele accuratamente tessute da un ramo all’altro, erano collezionate sulle nostre facce.
Inizialmente era dolce il sentiero in mezzo ad un curato bosco di faggi, continuava in una selva oscura di tassi per poi proseguire lungo una scoscesa valle ghiaiosa con rade macchie di verde, per raggiungere quindi il rosso bivacco.
Il silenzio regnava sovrano quella mattina, il rumore dei nostri respiri scandiva il tempo dei passi. Con il risveglio del sole, eravamo arrivati al bivacco, sito su un praticello fiabesco circondato da stambecchi e stelle alpine. I primi raggi cominciarono a scaldare, oltre che le nostre schiene umide di sudore, anche le nostre voci che, ancora con un tono basso, iniziarono a fare qualche complimento alla splendida giornata.
Dopo un sorso d’acqua e una piccola pausa, salimmo ancora lungo uno stretto canale, aiutandoci con l’appoggio delle mani. Un ultimo ghiaione e finalmente mettemmo alle nostre spalle i 2000 metri di dislivello positivo che ci separavano dal punto di partenza.
Il sipario che si aprì tutto attorno a noi, al raggiungimento della vetta, era vastissimo; in scena c’era tutto il Friuli Venezia Giulia e non solo: la vista poteva spaziare dal Golfo di Trieste alle Alpi Giulie, dai perenni ghiacciai austriaci alle Dolomiti Bellunesi, dai paesi sottostanti della Valcellina, alle adiacenti valli del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane.
Due amici, una giornata di fine settembre, due cime collegate da un unico sentiero abbozzato nelle nostre teste, dipinto con le nostre gambe.
I miei occhi però cercarono una cima in particolare, una delle più alte delle Prealpi Carniche, una cima che occupa un piccolo spazio nel mio cuore perché è una delle prime che ho raggiunto da bambina con mio papà: il Monte Pramaggiore (2478 m).
Proprio il Pramaggiore ci stava aspettando. Quel giorno avevamo deciso non di fare una semplice escursione sulle nostre montagne, ma di compiere un piccolo viaggio, una traversata a modo nostro, niente di epocale: collegare i sentieri di due valli a piedi e in bicicletta, completando l’ascesa a due vette, Cima dei Preti e Monte Pramaggiore, forse poco conosciute, poco alte per essere messe sulla copertina di qualche rivista, ma che per noi erano le cime della nostra infanzia, le montagne nostre, le prime vette che vengono accarezzate dalla neve, quelle che, quando le vedi al mattino uscendo di casa, ti rubano involontariamente un sorriso.
Raggiungemmo velocemente il fondo valle, scendendo lungo un sentiero poco segnato, sconosciuto a molti, frequentato da pochi, battuto assiduamente da stambecchi e camosci, arrivando così alle nostre biciclette che avevamo posizionato accuratamente al mattino, all’ombra di un nocciolo. Pranzammo rapidamente su una panchina in mezzo al bosco e riempite le borracce pedalammo sino all’inizio del sentiero che si snodava verso Pramaggiore.
Il sole era ormai oltre lo Zenit, le gambe e i piedi davano i primi segni di stanchezza, però dolce e comoda ci fu la mulattiera che saliva verso il culmine. Sembrava che qualcuno avesse saputo che saremmo passati di lì affaticati, disegnando per noi una traccia incantevole, tra boschi di larici verdi, di giallo sfumati alle estremità.
Con una lenta cadenza calcammo la forcella rocciosa che precede la vetta, il bramito dei cervi echeggiava nella valle sottostante, una brezza piacevole si era alzata assieme a noi accompagnandoci sino alla croce del Pramaggiore, superando così anche i 1600 metri di dislivello positivo che ci separavano dalle biciclette. Le ombre iniziarono ad allungarsi, le Dolomiti a colorarsi d’un incomparabile arancione roseo. Di fronte a noi spiccavano i 2703 metri della prima vetta conquistata, circondata da un vasto mare di imponenti monti.
Una firma sul libro di vetta, una stretta di mano, un abbraccio e partimmo per la discesa. Le luci del tramonto crearono uno sfondo perfetto per la fine di quella giornata: a ovest Venere brillava, il cielo si era dipinto di blu. Le nostre pupille si dilatarono per vederci meglio su quel lungo sentiero oramai colorato di nero.
Due amici, una giornata di fine settembre, un viaggio, due cime collegate da un unico sentiero abbozzato nelle nostre teste, dipinto con le nostre gambe.