testo di Francesco De Bastiani, foto archivio Cai Feltre
Una mattina di fine agosto, quando il caldo del sole, seppur deciso, preannuncia la fine della calura estiva, un caldo, che più non brucia ma che dolcemente asciuga. I colori della selva ormai destinati ad un rapido mutamento per vestire il regno del bosco dell’abito più bello, dei mille e più colori, dalle intense sfumature, il vestito del giorno di festa, quello dell’autunno.
Ci diamo appuntamento all’inizio della strada che porta al rifugio Casera Ere, lo scenario unico, quello delle Dolomiti Feltrine ai piedi del massiccio del monte Pizzocco. Oliver forte della sua prestanza fisica e lei Dolomia cucciola di sette mesi, attenta ai movimenti di lui come a carpire i segreti dell’essere cucciolo di maggiore età. Tartufo basso a terra per entrambi, inebriati dai sapori e odori del sottobosco, tanto gentile quest’anno nella fioritura dei bellissimi ciclamini violacei e inebrianti di un profumo fresco ed antico, premonitrice della stagione autunnale ormai alle porte. Da queste parti un temporale di agosto può far chiudere la porta all’estate e spalancare quella della stagione della vendemmia.
I modi che si usano per amare possono essere differenti
Lo avevo capito dalla telefonata dei giorni precedenti, chi avrebbe camminato con me, non era una persona qualunque, certo un innamorato della montagna e questo invece che tranquillizzarmi, mi aveva indotto pensieri non sereni. Amare la stessa cosa certo è un punto che accomuna le persone, ma i modi che si usano per amare possono essere differenti e a volte invece che saldare il rapporto lo possono far arenare.
Il sole insisteva a penetrare tra le fronde dei carpini e fra gli aghi dei larici, scaldando le nostre schiene e facendo allungare le lingue dei nostri cani. Quel caldo non riscaldava solo le nostre ossa, ma sembrava aiutare i nostri discorsi, serviva da amalgamare i nostri ragionamenti e piano piano dava a me la certezza che non solo lo stesso amore per la montagna ci accomunava, ma il modo con il quale la amiamo è lo stesso.
Presi dai racconti storici del mio amico di salita, non pensiamo solo un attimo se praticare il sentiero CAI o salire più comodamente per la strada di servizio che approvvigiona il rifugio, senza chiedercelo e senza accorgercene ci troviamo sulla strada di ghiaia e sassi di colore bianco che bene si intona al mantello dei nostri due cani.
Le mie speranze divenivano certezze
Mi racconta delle imprese alpinistiche di fine Ottocento e inizi del Ventesimo secolo che hanno interessato le salite al Sass de Mura, splendido massiccio dolomitico delle Dolomiti Feltrine poco distante dal nostro salire, ma nelle sue parole non vi era presunzione alcuna di interessare la mia attenzione con dati tecnici o particolari alpinistici dei pionieri del tempo, invece mi stupiva il valore e il riguardo con il quale mi parlava di quelle ascese contestualizzandole ai riferimenti storici, culturali antropologici di quel vissuto. Le mie speranze divenivano certezze, complice quel sole di fine agosto, il mio compagno di camminata stava parlando di fatti risalenti a cento e più anni fa e, amava la montagna con lo stesso amore e con lo stesso linguaggio che usavo anch’io.
Forse la stessa dimensione orizzontale del vivere la montagna, dove le quote di mezzo, intese come i paesi, le comunità, diventano parte irrinunciabile ed insostituibile allo scheletro di ogni cima, di ogni balza, di ogni sperone. Non avrebbe senso parlare di montagna, non avrebbe senso parlare delle Alpi e ancor meno discutere di Dolomiti, se queste non fossero state vissute e servite dalle comunità umane che le hanno abitate nel corso dei secoli. E queste comunità vivevano e vivono tutt’oggi nelle così detta montagna di mezzo e mai nelle cime blasonate. L’inerpicarsi di quel nastro di sassi e ghiaia, ci portava ad una vista sulla Val Belluna traversata dalla Piave, che, silente e goffa, portava le acque delle cime al fondovalle, mentre appena sotto di noi, i segni del vivere delle quote di mezzo, lasciavano intravedere strade e sentieri frequentati in epoche passate per veicolare a valle fieno e legna.
Un buon caffè al rifugio Casera Ere, ha fatto da compagnia e sottofondo al nostro continuar parlare di montagna, mentre i canapi del discutere dei due interlocutori, ormai erano diventati un filo unico. L’amore e la voglia di montagna avevano filato i due spaghi in un’unica treccia.
Quanto a Oliver e Dolomia riposavano all’ombra del tavolo in legno sede del nostro discutere, mentre il Pizzocco, sembrava ascoltare la presunzione del nostro dibattere, intanto che il sole asciugava le nostre maglie dismesse.
Grazie amico mio per la mattinata, buon rientro e a presto.