Si iniziava la scuola il primo ottobre, ed ecco, da subito, un susseguirsi di prove per i canti da esibire alla commemorazione per la vittoria sugli austroungarici, alla presenza delle autorità, di fronte alle lapidi con i nomi dei caduti per la patria; non erano ancora passati cinquant’anni da quella data che segnò la fine dell’“inutile strage”, e non c’era giorno che si saltassero le prove perché quel giorno bisognava cantare bene.
Gli aspetti che più ricordo di quella commemorazione, mai per me bella, sono: il freddo, il grigio della nebbia, l’euforia degli adulti nell’attesa di avventarsi sui panini a fine evento, la retorica dei discorsi ufficiali.
C’era qualcosa d’altro, però, che ci accompagnava in quel momento di vita sociale particolarmente sentito, che ci faceva percepire che stavamo vivendo un momento speciale dell’anno.
Il nostro piccolo paese di circa mille abitanti era a quel tempo un giardino, avevamo vicino alla scuola due bellissimi parchi privati con alberi secolari e ancora non erano intervenuti gli sventramenti del contesto urbano che di lì a poco avrebbero cambiato per sempre il volto del paese, e della nostra storia. E che cos’è un giardino, se non “una forma inafferrabile, un’architettura immateriale dell’anima, un luogo dove perdersi, un posto dello spirito fatto di forme mutevoli che si perdono in un tripudio di colore”¹.
Il mio andare a scuola a piedi era accompagnato dall’osservazione di questo luogo della memoria, costituito principalmente da alberi, prati e acqua, che mutava nei giorni e che mi accompagnava alla nebbia e al freddo, immancabili, nel giorno della commemorazione.
Ricordo in particolare un platano e un tiglio meravigliosi, imponenti – abbattuti poi con ferocia da uomini senza scrupoli, con l’aggravante di futili motivi – i quali, nella stagione chiamata autunno, diventavano i protagonisti del paese insieme agli ippocastani e a molti altri alberi che circondavano le nostre modeste case.
Io non ero che un bambino curioso e non capivo l’origine di quella mia emozione che mi portava a scuola. Mi lasciavo però trasportare pregustando il pomeriggio libero e spensierato che mi avrebbe fatto immergere in quella bellezza.