testo di Silvia Tessa e foto di Davide Ghigliano
L’isola toscana di Capraia è una destinazione invitante per i buoni camminatori. Noi avevamo scelto il ponte del primo maggio ma anche un weekend lungo a settembre può essere un’ottima scelta, senza escludere ottobre con l’invitante Sagra del Totano.
Arriviamo a Livorno in anticipo, così abbiamo il tempo di apprezzare l’elegante lungomare che conduce a Terrazza Mascagni prima di imbarcarci. Il traghetto impiega quattro ore: l’arrivo sull’isola è previsto nel primo pomeriggio. Davide mi avvisa: «Guarda che io non voglio perdere tempo, appena arriviamo facciamo subito una gita, non andiamo a posare lo zaino. Perché io porto lo zaino grande, mica quelle borse scomode da portare a mano. Zaino in spalla e fila!»
Ah, quanto ho aspettato qualche giorno di relax. Per fortuna il titolare della B&B dove alloggeremo ci viene a prendere al porto e ci dice di non preoccuparci che tanto tutti i sentieri partono proprio “da casa”. Percorriamo dunque in auto l’unica strada dell’isola e arriviamo al Poggiolo, la zona più alta del paese: siamo di fronte al Forte di San Giorgio e il panorama merita una sosta contemplativa.
Il giardino di Azzurra, questo il nome della B&B, è un rustico ristrutturato, vivacemente colorato. Qui le porte non si chiudono o meglio si chiudono ma le chiavi si lasciano nella serratura. Siamo su un’isola, si conoscono tutti e può sempre far comodo che una vicina entri a lasciarti una torta.
Chissà perché si chiama Via del Semaforo?
Sono ormai le quattro del pomeriggio ma se è vero che tutti i sentieri partono dal Poggiolo noi siamo già alla partenza. Puntiamo verso Cala Zurletto, seguendo la Strada Vicinale del Reganico. Zainetto, binocolo, acqua e via. Peccato non ricordarsi la lampada frontale. Dal piazzale del forte proseguiamo lungo una strada sterrata prima e lastricata poi, verso la terrazza di Punta Bellavista. Qui tutto sembra nuovo e forse lo è. Nel 2006 i ragazzi di “scuole outdoor in rete” (www.scuoleoutdoorinrete.net) si sono presi cura dell’intera Strada Vicinale del Reganico. Da qui si ammirano le scogliere, i gabbiani, il Forte di San Giorgio.
Ritorniamo sui nostri passi, per lasciare l’elegante lastricato e proseguire sulla sterrata che, da questa cava abbandonata sulla Via del Semaforo, ci porterà fino alla Cala dello Zurletto e ritorno. Zurletto: un nome simpatico per dire asfodelo. Asfodelo: un nome scientifico per dire bel fiore dallo stelo lungo. Sarà sfortuna ma non abbiamo visto nessun fiore con lo stelo lungo. L’itinerario offrirebbe deviazioni interessanti, ma non avendo portato la frontale, rispettiamo il breve anello e proseguiamo lungo la Vicinale fino a incontrare nuovamente la ex-cava e la Via del Semaforo, punti obbligato per ogni trekking sull’isola. Chissà perché si chiama così, dal momento che su tutta l’isola non esiste un incrocio, figuriamoci un semaforo.
Inizia una mulattiera, che prosegue rialzata su due imponenti fossi, a destra parecchi alveari catturano la nostra attenzione, ma accidenti, il miele sull’isola in questa stagione è già stato venduto tutto, bisognerebbe prenotarlo molto prima del traghetto!
Rientriamo quando ormai la stufa a pellet è piacevolmente accesa. Chiediamo di avere colazione alle 7, Bruno guarda Davide e gli dice: «Figliolo, col passo che c’hai te, se ti svegli alle 7 ti vedi tutta l’isola in un giorno solo, e poi che fai? Facciamo almeno 7 e 30». Ha ragione!
Buongiorno, che vino fate? Il più buono dell’isola, signora!
La colazione delle 7 e 30, buona e ricca, è destinata a protrarsi fino alle 9. Quando due uomini si trovano a chiacchierare di sport vari non c’è modo di interromperli: pesca in apnea, mountain bike sull’isola, sci in Trentino sono solo alcuni degli argomenti trattati con il caffè e latte. Comunque alle 9 siamo in marcia.
Ripercorriamo la Via del Semaforo, ma oggi proseguiamo dritti dopo l’incrocio della ex-cava. Si sentono le voci di chi sta lavorando nei campi, ma non sono campi, sono vigne. E da buona piemontese non posso che informarmi: «Buongiorno, che vino fate?» e la risposta: «Il più buono dell’isola, signora!»
Per forza che è il più buono: non esiste altro produttore sull’isola. Il sole splende e grazie alla colazione prolungata è sufficientemente tardi da fare anche caldo: quando arriviamo a Cala del Ceppo un bagno non ce lo toglie nessuno! Davide indossa la sua muta e si fa una gran bella nuotata. Io ho il mio strato di isolante naturale che mi consente qualche bracciata, non di più: sarò mica dimagrita?
La strada è sempre larga e ben segnalata. Davide annuisce e va avanti, sia mai che chiacchierando il ritmo rallenti e diventi quello di una vacanza qualunque. Con qualche saliscendi arriviamo fino alla Cala del Moreto: la punta più a sud dell’isola, raggiungibile solo a piedi o in barca. Grazie alla bassa stagione ci siamo solo noi, non si vedono barche. Un angolo della spiaggia, detto “il pidocchio”, è fatto tutto di ciottoli un trattamento Kneipp naturale per giganti.
Davide al solito freme: «Dai che è ancora lunga!» mi dice. Proseguiamo per Cala Rossa. Non ci sono dubbi sull’origine del nome: la terra sotto i nostri piedi è rossissima. Ed è anche bella a strapiombo. Il sentiero è ben tracciato, anche se visibile solo all’ultimo minuto, un tantino esposto: per noi bellissimo!
Un posto affascinante, unico, come tutti i posti difficili da raggiungere
Scendiamo un po’ per poi risalire sul promontorio dello Zenobito, su cui spicca l’omonima torre. Non si può entrare né salire: i più curiosi infilano la testa dentro per sbirciare un po’, ma il bello è fuori. Ci sediamo qui ad ammirare le rocce sanguigne della baia. Mi piace qui. E’ rosso, scosceso, inaspettato. Beh, inaspettato da chi le guide turistiche le legge con attenzione solo dopo. E’ un posto affascinante, unico, come tutti i posti difficili da raggiungere: la maggior parte della gente, potrà vederla solo dalla barca, invece noi ci siamo arrivati con i nostri piedi, su un terreno non facilissimo ma accessibile, quel pizzico in più che ci piace parecchio. Inizio a perdermi piacevolmente in pensieri e sospiri di soddisfazione, quando realizzo che la mia adorata metà è già schizzata in piedi con la solita frase: «Dai che è ancora lunga». Sì, ma anche la giornata lo é.
I 410 metri del Monte Arpagna sono la nostra vetta di oggi. Sulla strada troviamo la vecchia Fonte delle Fontanelle, ricostruita dalle scuole outdoor. È l’unica sorgente in tutta l’isola e non sgorga proprio tutto l’anno. La tradizione vuole che chi beve questa acqua, prima o poi ritorni a Capraia. Ma è una tradizione già sentita, no? Come le bacche di Calafate della Patagonia, ma là avevamo mangiato le bacche sbagliate. Qui che facciamo? Beviamo.
Passando davanti ad alcuni ruderi che una volta erano l’alloggio del capo e dei marinai, arriviamo alla vetta del monte, dove ci sono gli arrugginiti resti della stazione di osservazione della Marina Militare, quello che tutti a Capraia chiamano “Il Semaforo” (hai capito il nome della via?). È rimasto in funzione da inizio novecento fino al 1943, poi tutta la zona è stata abbandonata. Si gode un bel panorama da qui, ma: «Dai che è ancora lunga!»
Proseguiamo per ricongiungerci con il sentiero percorso alla mattina, vicino alle vigne. Come il girono precedente, rientriamo in paese dalla Via del Semaforo, solo che ora sappiamo perché si chiama così. Ci tentano i tavolini decorati di un bar, ma stasera si voleva andare a mangiare da Nonno Beppe: un ristorante en plein air che è aperto un giorno sì e tre no, vogliamo mica rovinarci l’appetito?
Randagia, che per saltare su un’isola basta un ponte, come quello del primo maggio.
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