Mi sono accorta che le montagne su Torino erano vicinissime, per la prima volta, aspettando il mio relatore di tesi al quinto piano di Palazzo Nuovo (il palazzo delle Facoltà Umanistiche che era già orrendamente vecchio – nuovo quando io ero una studentessa negli anni Ottanta).
Dalle finestre del suo studio, che era esattamente di fronte alla Mole Antonelliana, grazie alla prospettiva di una città assolutamente quadrata potevi vedere direttamente il Rocciamelone. Da qualunque parte ci si pone, sono lì, e i nuovi grattacieli (il palazzone della Regione, il San Paolo) sembrano fare concorrenza alle cime, cercando di arrampicarsi sino al cielo, specie quando è terso.
Le alpi sono lì, dietro ogni angolo. Per vederle bene, basta salire (è a due passi da Palazzo Nuovo), sino al Monte dei Cappuccini, che si chiama monte, non a caso. Da lì, specie sulla terrazza del Museo della Montagna dedicato al Duca degli Abruzzi, proprio dietro la Mole Antonelliana (ancora!) si può completare la vista circolare dell’anfiteatro di montagne che circondano Torino. Se la giornata è tersa, e Simao in inverno, come ora, la neve sulle cime luccica come cristallo. Se la giornata non è tersa, comparirà sempre, in direzione sud ovest il grattacielo della Regione Piemonte, avvolto in una caligine gallina. Caligine che persiste, a mia memoria, da tempi non sospetti, e privi di palazzoni: lo smog. La vocazione principale di questa città è stata di essere una Company Town, cosa che conosco bene dato che il mio nativo Mandrognistan⁽¹⁾ ha costruito la sua storia sull’essere l’altra Company Town del Piemonte, quella dei cappelli.
Paradossalmente, il Genius loco, la Montagna delle montagne, per essere adeguatamente apprezzata deve essere osservata dalla periferia al di là della tangenziale, dove tradizionalmente, per i torinesi finisce il mondo: al di là, sunt leones o orsi, se si preferisce mantenere il criterio che Torino è un centro spostato un po’ in là e noi tutti gli altri, siamo periferia pur essendo più o meno alla stessa latitudine , con l’eccezione di Cuneo. Se non sapete cosa vuol dire essere periferia, non ci conoscete, nemmeno la Lombardia è così Milanocentrica, ed è tutto dire. La foto del Monviso che vedete, e che è di Alberto Giovenzana, è stata scattata lo scorso anno, prima che tutti ci chiudessimo più o meno in casa, dal casello autostradale di Carmagnola, dopo un pomeriggio di camminate con tempo assai uggioso, che si era concluso con una soste al mercato antiquario di Carmagnola, e lì, subito prima del ritorno, il Monviso, che era stato più o meno nascosto tutto il pomeriggio, si era palesato con un’improvvisa e sfacciata esibizione di rosa.
Torino, è lì adagiata in una conca dove convergono le vie fluviali e la direzione della Francia. Se si volesse percorrere a piedi la lunghissima route royale che porta da piazza statuto al castello di rivoli, attraverso corso Francia lo stradone reale, 12,8 km quasi tre ore a piedi, secondo Google maps, che non ti ci fa passare, da Corso Francia in auto nemmeno chiedendoglielo, ebbene si avrebbe davanti , quasi sempre un montagna, anzi una montagnola, anzi una collinetta, ma pur sempre un rialzo, quello su cui viene costruito il castello di Rivoli, prima fortezza medievale, poi luogo di loisirs a fronteggiare il palazzo reale in città Quando penso a Torino, mi vengono in mente altre città di montagna come Grenoble, o Innsbruck, con cui Torino condivide il fatto di avere ospitato le olimpiadi invernali
Quando penso a Torino, mi vengono in mente altre città di montagna come Grenoble, o Innsbruck, con cui Torino condivide il fatto di avere ospitato le olimpiadi invernali. Lo confesso, sarà poco ecologico, ma ho nostalgia di quelle Olimpiadi, quando io e mia madre andavamo ogni week end a scoprire sport nuovi (l’hockey, il curling) che non avremmo frequentato mai più – vi ricordo che dalle mie parti si pratica a malapena il calcio e il basket – mentre mio marito brontolava, e noi passavamo il tempo a cercare parcheggi, a fare la coda, a fare fotografie analogiche, a comperare gadget, a farci fare l’autografo da atleti famosissimi ma sconosciuti. Sono certa di avere ancora l’autografo della nazionale canadese di hockey maschile, ma una vedovanza e tre traslochi dopo non l’ho più trovato, ma ho ancora una cantina da smontare e non dispero. Resta l’Oval, e il braciere olimpico conservato al Museo della Montagna.