Uno schiaffo alla gravità, una seppur apparente fuga dalle leggi della fisica, una delicata e audace caccia al baricentro condotta da zampe e cuori benedetti. Dimentichiamo spesso che il concetto di stabilità è relativo alla capacità di aderire anche a ciò che sembra inafferrabile. Li vedo con il binocolo apparire e scomparire. Le nuvole basse invadono la muraglia di roccia e neve aprendo e chiudendo il sipario. Comincio a sentire lo zaino meno pesante.
Intanto la neve si fa più insistente e le raffiche di vento trasformano i fiocchi in coltelli e spilli da sarta. Copro il viso allacciando la giacca fino al naso, proteggo gli occhi lasciando che le palpebre mi delimitino il campo visivo. Il sentiero si muove in salita e noi continuiamo a camminare nelle impronte di chi ci ha preceduto. Il vento muove la neve, disegna e gioca con le pendenze; alcune impronte scompaiono per poi riapparire dopo qualche metro.
Salito il sentiero ci affacciamo nel punto più esposto, il poco falasco non ancora inghiottito dalla coltre si contorce lasciandosi trapassare dalle raffiche. Gli alberi più in basso sono sempre più inquieti ma sanno di essere architetture studiate per resistere. Gli alberi nascono con nozioni di ingegneria edile che noi studiamo all’università. Sanno bilanciare i pesi senza rinunciare alla verticalità e conoscono i privilegi dei materiali flessibili. Li guardo che si piegano e lo zaino perde altro peso.
Il tempo è in peggioramento, la neve orizzontale brucia la pelle. Decidiamo di cambiare itinerario e di accorciare la strada evitando di passare per le creste ghiacciate. Ormai l’occhio mi cade fisso sulle impronte che stiamo rincorrendo, anche loro hanno imboccato il sentiero che non sale di quota e che degrada di nuovo verso la pineta. Ormai l’inseguimento mi incuriosisce.
Scendiamo e il vento, appassionato di altezze, scivoli, rampe e trampolini smette di seguirci per rimanere a divertirsi tre le creste e le cime che lo sfidano da sempre, lanciandosi a caccia di velocità dalle pareti rocciose e facendo vorticare manciate di coriandoli bianchi. Rallentiamo il passo, mi ricordo di bere e riscaldo le falangi soffiando nei guanti. “I geloni alle dita sono un’eredità di tua nonna” mi ripete mia madre tutte le volte che mi ripresento a casa con le mani di ghiaccio.
Siamo ormai in una zona coperta, il vento è alle spalle che ulula divertito, ed ecco apparire le sagome. Mi sono inconsciamente affezionata a quei passi. Mi piace costruire storie, animare personaggi e già dalle impronte che uscivano dal camper avevo immaginato una coppia di montanari impavidi, con una coppia di pastori impavidi, che si era goduta una notte di vento, neve e voci selvatiche e che all’alba aveva provato l’ebbrezza di segnare la neve nuova con le prime impronte di uomo. Durante il cammino ho immaginato le ragioni delle pause, dei passi più pesanti, di quelli più corti e delle deviazioni.
Erano davvero una coppia di montanari con due pastori tedeschi e avevano davvero passato la notte in camper all’imbocco del sentiero ma tra i motivi delle pause non avevo immaginato il lupo.
Tirano fuori un telefono ed ecco la ripresa di un lupo solitario, avvolto in uno splendido mantello invernale che si allontana rapido, risalendo il crinale nella neve alta. I movimenti sono perfetti, non c’è spreco, non c’è errore ne passo indeciso. È l’eleganza dell’istinto.
Li invidio e mi sembra che lo zaino sia ancora meno pesante.
Facciamo insieme l’ultimo pezzo di strada che ci riporta all’imbocco del sentiero e ci salutiamo. Mi infilo in macchina e da rito sciolgo la treccia in cui avevo protetto i capelli dal freddo e dal vento. Mi piace liberarli: se sono abbastanza intrecciati e segnati da umidità e sudore significa che la giornata è stata buona.
Scendendo in macchina verso Ussita, l’occhio cade sulle macerie del 2016. Abbasso il finestrino: la neve si stava posando dentro le case sventrate. Poi mi arrivano voci argentine. lungo un versante innevato un gruppo di bambini con genitori custodi si lancia forsennato con padelle e slittini. Fanno uno dei giochi più vecchi del mondo, imparato guardando il vento che si tuffa nelle valli.
Proseguiamo, stiamo andando a trovare un’amica. Ussita è uno dei comuni dei monti Sibillini colpiti duramente dalle scosse del 2016, è un comune sparso, formato da frazioni anche lontane e isolate fra loro, più o meno abbarbicate sulle pendici dei monti intorno al bastione di roccia del Bove. Il mondo della civiltà appenninica era in crisi per lo spopolamento già prima del sisma che ha inasprito una tendenza all’abbandono già in atto. Ma chi resta c’è.