La mattina dopo un abbondante colazione andiamo a salutare Margherita, ringraziamo Antonio e Teresa e ci inoltriamo di nuovo nel bosco, non molto distante dal rifugio.
Il sentiero ci regala fin da subito bellissimi paesaggi boschivi, i faggi enormi sono sempre nostri guardiani, incombono ancora le nubi e il sole si fa desiderare anche oggi, appena usciti dal bosco i faggi lasciano il posto a felci più alte di noi, il sentiero continua inerpicandosi sulle rocce , il fogliame umido attutisce i nostri passi e il silenzio del bosco è quasi denso, carico di umidità e odori, lo percepisco sulla pelle, mi scopro a guardarmi intorno ad annusare l’aria, allungo le orecchie in cerca di un suono, l’atmosfera di questi boschi mi coinvolge, mi attira alla ricerca di qualcosa che nemmeno io so. Per ora posso solo lasciarmi trasportare dai miei passi e lasciar andare i miei sensi perché possano assorbire più cose possibili da ciò che mi circonda. Seguiamo con cura i segni del cammino, scavalchiamo piccoli d’acqua, entriamo e usciamo dal bosco e prima di arrivare a Zervò, al limitare del bosco, ecco una felice coppia di cinghiali (mamma e un cucciolo)attraversarci allegramente la strada, senza badare minimamente alla nostra presenza, e rinfilarsi tra gli alberi.
Arrivati al Sanatorio di Zervò ci accomodiamo sotto una tettoia per mangiare, visto che nel frattempo ha iniziato a piovere, ho l’occasione di guardare la struttura da fuori, è immensa, imponente, austera, incute anche un certo timore con tutta questa predominanza di cemento e il cielo cupo che la sovrasta.
Finito il pranzo iniziamo ad esplorare i dintorni, notiamo subito un camioncino sgangherato parcheggiato a lato di una struttura adiacente al Sanatorio, ci avviciniamo con fare circospetto, ma ecco che dalla struttura fa capolino un signore.
«Buon pomeriggio, cercate qualcuno?»
«Sì, dovremmo dormire nel sanatorio sta sera, sa stiamo facendo il sentiero del brigante».
«Ah benissimo, piacere io sono Antonio, volete un caffè? Ora lo preparo subito».
Ringraziamo, poi si volta e dice «Lo faccio con la scorza di limone, ricetta di mamma, va bene lo stesso?», dice sorridendo, un attimo di smarrimento, «Ma certo sicuro, non l’abbiamo mai provato, perché non iniziare adesso».
E mentre ci adoperiamo alla preparazione del caffè in una sgangherata cucina (uso lo stesso termine per definire la cucina e il camioncino di Antonio, perché la confusone era identica). Nel frattempo iniziamo a parlare con Antonio, ci racconta di essere il proprietario, di una cooperativa di giovani che lavorano alcune terre nei dintorni del Sanatorio.
«I nostri prodotti li vendiamo ovunque anche a Milano», ci dice tutto orgoglioso, ecco che scorgo ancora quello sguardo, quella luce negli occhi, la stessa che ho visto negli occhi di Nicola, quando mi raccontava dei questa terra. Rimaniamo incantati dai suoi racconti e della sua vita, una vita spesa per gli altri, una vita di sacrifici e rinunce tutto per questa terra, per i suoi giovani e per il futuro di entrambi.
Il tempo vola e non ci accorgiamo che sono già due ore che parliamo, qualcuno si starà domandando che fine abbiamo fatto, salutiamo Antonio che come ultimo gesto ci accompagna davanti all’entrata del Sanatorio, con il suo furgone. All’entrata del Sanatorio troviamo una coppia di volontari ad attenderci, quando ci vedono arrivare sul furgone di Antonio si “rincuorano” ed esclamano «Ah ma eravate con Antonio, vi ha rapito lui quindi?».
Ceniamo con loro e con Padre Benedetto, un omone molto simpatico e gioviale, un classico prete di montagna, che con il suo coltello ci taglia prima la carne poi il formaggio ed infine i suoi sigari. Ci fanno provare la Struncatura, una pasta povera fatta con gli scarti della farina, ricetta povera che si tramanda da generazioni.
«Qui una volta ci si arrangiava con poco, ora la Struncatura dicono che è Bio e costa 5 euro al pacco», torno a pensare alle parole di Antonio, alla sua cooperativa, ai ragazzi che lavorano la loro terra così come i loro padri o il loro nonni gli hanno insegnato, la coltivano usando la natura, come è giusto che sia, la natura per crescere come si deve non ha bisogno di nient’altro che di se stessa, un ciclo continuo e unico che non avrà mai fine. Qui non esiste il Bio ciò che produce la terra, anche gli scarti, è per tutti e tutti ne possono usufruire, non si può sacrificare la natura in nome di un marchio.
La serata si conclude ascoltando i racconti di padre Benetto sull’Aspromonte e sulle persone che lo abitano, il tutto innaffiato da alcuni giri di grappe. Ci salutiamo presto perché domani ci aspetta la tappa più lunga del Sentiero e tanto per cambiare danno pioggia.