La sfaccettatura del festival si vede anche nella presenza di più generazioni tra il pubblico. Scruto la composizione dei partecipanti e mi accorgo che giovani genitori sono accompagnati dai nonni dei loro figli, che gruppi di amici trentenni giocano assieme ai ragazzini, più interessati al freesbe che all’ultimo album del cantante invitato, che durante le passeggiate organizzate molti di coloro che si aiutano con moderni bastoncini da camminata hanno oltrepassato le ottanta primavere.
Sono trascorse tre settimane dal mio arrivo quando ha inizio il momento clou del festival: la “Rocklette”. Dieci giorni di gruppi rock e di racleurs (così sono chiamati coloro i quali, con un passaggio di coltello sulla forma di formaggio fusa dal calore, creano il piatto della Raclette) che si contendono la scena: da un lato l’abilità musicale sul palco, dall’altro il gesto semplice ma sapiente di chi ha creato un piatto cult. Da qui la felice fusione linguistica tra rock e raclette.
Nel mentre ho avuto modo di conoscere Eddy, che il papà voleva elettricista negli anni ’80 e divenuto oggi l’ambasciatore del piatto Raclette nel mondo, con presenza alle Olimpiadi coreane nel 2018 e all’Expo di Milano nel 2015. Eddy, che ha rilevato la latteria comunitaria quando nessuno voleva proseguire un lavoro definito anacronistico e che oggi ha fatto del Raclette di Bagnes un AOP (appellation d’origine protegée) d’eccellenza. È possibile incontrare questo mito vivente presso la Raclett’House, luogo di aggregazione per eccellenza in Bruson, o agli eventi del Festival, rigorosamente dietro ad un forno a raclette. Ed è qui che avviene la sua trasformazione mitologica, perché proprio non so come faccia a sopportarne il calore nelle assolate giornate estive e a raclare (dal verbo racler, l’atto di tagliare il Raclette) per 8 ore.
Ho conosciuto Jean-Luc che, nel mondo incontrastato delle reines – le vacche di razza Hérens note per il loro temperamento che le spinge a combattere per un nonnulla –, ha accolto la proposta del figlio di introdurre l’allevamento di ovicaprini, con l’apertura all’innovazione propria solo dei pionieri. È nata così, da qualche anno, la raclette di pecora e di capra, che Eddy propone durante gli eventi e presso il suo ristorante.
Ho conosciuto Francis, patoisant, che mantiene viva la lingua locale durante i “Café des patoisants” organizzati dal festival, momenti di confronto al bar dove è ammesso solo il francoprovenzale, al quale partecipano sempre più giovani desiderosi di apprendere una lingua che nella loro famiglia non è stata trasmessa.
Ho conosciuto la storia di Nicolas, classe 1992, che ha fatto dell’arte della costruzione delle sonnettes (i campanacci al collo di vacche e capre) una vocazione ancora prima di un mestiere. Sonnettes che hanno trovato spazio nella mostra “Bruisson” e che il pubblico può suonare liberamente, magari dopo aver creato al computer la propria colonna sonora elettronica nella tappa precedente o potuto ammirare il “Raclophonic”, curioso prototipo di strumento musicale creato da un forno a raclette.
Ho conosciuto Jean, il più anziano del paese, che con saggezza ha saputo rinunciare alle visite dei suoi compaesani per tutelarsi dal Coronavirus seppur ciò gli pesi, ma che non ha rinunciato a visitare l’esposizione “Bruisson”. Mi parla dal balcone di casa con voce ferma e chiara, trovando nei racconti del suo vissuto la spinta per non mollare alle avversità dei tempi moderni.
Ma soprattutto ho conosciuto i tanti progetti del Palp Festival. Non un festival in montagna ma un festival di un luogo di montagna.
Lascio Bruson in un giorno insolitamente freddo per essere l’inizio di settembre. Le cime in lontananza, che superano ampiamente i 3000 metri, sono ormai bianche. Il Palp ha ancora eventi in calendario. La situazione di incertezza legata all’emergenza sanitaria costringe a vivere di giorno in giorno con l’apprensione di dover, purtroppo ma con coscienza, rinunciare alle ultime manifestazioni. L’unica certezza è che arriverà l’inverno, e con esso si aprirà un periodo di progetti e di scambio con gli abitanti, la cui creatività rivivrà l’estate seguente e di cui Bruson sarà ancora protagonista.
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foto:
1. Sonnettes esposte in uno dei raccards messi a disposizione dagli abitanti di Bruson per l’esposizione “Bruisson”.
2. Veduta del villaggio di Bruson dal versante di Verbier. Nell’immagine si possono osservare i campi un tempo coltivati a fragole e lamponi – ed ormai sono solo più destinati al taglio dell’erba per il bestiame –, la strada che porta ai mayens e agli alpeggi e, nei punti più alti del versante, le piste da sci.
3. Partecipanti all’evento Bis Bis (I agosto 2020), una passeggiata enogastronomica accompagnata da musica dal vivo lungo il Bisse de Levron, imponente canale costruito nel Medioevo ed ancora, in parte, in uso. A destra, vacche di razza Hérens all’“alpage de la Chaux”. Sullo sfondo, il Grand Combin (a sinistra) e il gruppo del Monte Bianco (a destra).