Alba di metà Febbraio. Cielo grigio in pianura e sole appena velato per chi scappa più su.
Camminiamo, ciascuno col suo passo, ciascuno con il suo spazio intorno, davanti, dietro.
Silenzio. Tutto qui è silenzio, abeti e faggi.
E il nostro corpo ancora intorpidito, mentre il sangue ha già aumentato la sua corsa e ci porta l’entusiasmo che giustifica l’aver abbandonato le coperte calde.
Continuiamo a salire e lentamente ci ritroviamo immersi in nuvole basse e nebbia densa, fitta, mescolati senza sapersi distinguere; un abbraccio umido che accarezza le guance, le ciglia.
Bianco. D’un tratto tutto è bianco.
È bianca la neve che stiamo calpestando e che crepita sotto gli scarponi ed è un rumore unico questo del manto pressato, l’unico, oltre a quello delle racchette che affondano.
È bianco il cielo, della nebbia che sale dal fondovalle e ci avvolge e sta.
Immobile il paesaggio, permeato da una luminosità quasi spettrale.
Quella che era un’escursione non è più, non è più solo neve e nebbia, silenzio e umidità.
È uno sparire alla vista, uno smaterializzarsi, uno spazio privato, solitario e ovattato che porta dentro, che sconfina nella dimensione che è intimo e in un tempo che è passato cristallizzato.
Non sono sola, ma non vedo nulla, se non bianco, bianco vuoto.
E questo nulla sa appesantirmi il petto, sa affannarmi i polmoni, sa schiacciarmi forte, assottigliandomi il fiato.
Mi assale, d’improvviso, l’angoscia. Entra in me, aggrappata alle particelle acquose che respiro e s’insinua, fluida, là dove lei sa già, a rimestare e sciogliere paure buie.
Ma continuo a camminare, seppure i passi si siano fatti più lenti, pensati e pesanti.
Mi guardo attorno, disorientata; in quel bianco che punge gli occhi distinguo le sommità di alcuni cespugli, la luce stessa è alterazione dell’ora reale, non saprei indovinare, se non lo sapessi, se è mattino o pomeriggio.
Un bimbo solo, perso in uno spazio segreto; eppure sento, so che da quel nulla arriva solo protezione.
Richiamo a me lucidità e consapevolezza: non distinguo nulla di ciò che mi circonda e l’aria non riesce, carica di vapore, a sedare il mio spaesamento, ma proprio quello che mi ha bloccato ha in sé la meraviglia di lenire il mio tormento.
Perché è un momento sospeso, magico, troppo bello per avere il fiato corto, per non riuscire a respirare.
È un momento da vivere.
Allora assecondo questo fluire di emozioni, me le faccio amiche, getto un ponte di pace fra il dentro e il fuori, di me.
Calmo. Tutto è quasi calmo.
Rivedo i miei compagni, aggiustiamo il passo per riavvicinarci, mentre continuiamo a salire.
Lungo il pendio le raffiche di vento hanno già spazzato via le nuvole.
La vetta appare, nitida, come riemersa e ben delineati sono ora i fianchi della montagna che stiamo calpestando. Il sole era già lì, pronto ad allungare le nostre ombre, a riscaldarci gli abiti inumiditi.
Il mio petto è ancora un po’ pesante e i muscoli ancora contratti per la tensione trattenuta, domani sarò un po’ più stanca, indolenzita nell’anima, adesso però ho il vento forte in faccia.
Tutto è respiro. Io respiro.