Al percorso che porta al rifugio con un dislivello modesto abbiamo aggiunto un lungo tratto iniziale, partendo più in basso, perché nei giorni scorsi il cattivo tempo ha abbattuto degli alberi sulla strada che al momento non è transitabile. Non ho ancora sonno, nonostante i 19 chilometri sotto i piedi, ma hanno chiesto di spegnere la luce, «Sì, certo!» – ho risposto e da lì buio pesto.
Ritagliata nell’angolo sinistro della parete davanti al letto, una finestra, con le persiane lasciate aperte, mi permette di intravedere una striscia della roccia grigia scura del Blumone, di granito adamellino. La bella luna quasi piena che c’è stasera ha ricoperto di luminosità soffusa l’erba e le rocce, la diga e l’acqua del lago, la sagoma di vacca del roccione che, poco distante, accoglie i camminatori in arrivo. Il rifugio è dedicato alla memoria del partigiano e alpinista Tita Secchi che – ricorda la targa affissa all’ingresso – venne imprigionato e poi fucilato nel ’44 insieme ai suoi compagni, dopo aver rinunciato alla concessione di salvarsi da solo.