La Valle Albano ha selve di castagni secolari dai possenti toraci ruvidi scavati dal fuoco di incendi dimenticati, vecchi maggenghi raggruppati sui pendii meno ripidi e in prossimità di pianori un tempo coltivati a segale.
Nuclei di alte e strette abitazioni temporanee alternate alle masoni dalla forma di un cappello di strega, assediati da una nuova colonizzazione del bosco che avanza oltre la linea dei castagni e invade i prati e i terreni dove la segale è scomparsa da decenni lasciando una labile traccia in rari tetti appuntiti di fienili anticamente coperti di paglia.
In questa valle torniamo spesso alla ricerca di una rara sensazione di isolamento e di profondità spaziale e temporale. Lo stato storico di isolamento della Valle Albano rispetto ad altre realtà circostanti non è una nostra personale percezione, tanto che La Provincia di Como del 26 settembre 1957 riportava: “hanno ragione i montanari quando dicono che la provincia di Como si ferma a Dongo e che la Valle dell’Albano è completamente ignorata dalle autorità”. Qui anche le storie diventano materia di contrabbando, si sfilacciano e si perdono tra le numerose contrade disperse e abbandonate. Alcune storie non devono essere narrate e stupisce trovare degli stralci nel volume di Pietro Pensa dedicato al fiume Adda, dove si parla di resoconti medici di partorienti distese su pelli di capra in vecchie cascine fuori dal paese, intente a sgravarsi con il solo aiuto di esperte, ma non professionali, anziane del posto.
Che bello in questo posti ci voglio andare
Grazie