In montagna piove dunque meglio fare due passi dalle mie parti. Il cielo non promette molto ma l’importante è che non rovesci secchiate d’acqua. E’ l’ultimo giorno di ottobre, nella nostra tradizione popolare questa notte i morti usciranno dalle loro tombe e verranno a visitare le persone care. È per questo che mettiamo la zucca con all’interno il lumino, rimarrà acceso tutta la notte. E lasciamo pure un pezzo di pane e un bicchiere di vino. Una volta il giorno dopo, visto che i morti non mangiano, si distribuiva il cibo ai poveri che andavano di casa in casa a fare la questua.
È bellissimo questo periodo, andare oggi per boschi e sentieri ha un nonsoché di magico. Decido di prendere il sentiero 78 detto dei Castellieri. Si prende da Doberdò del lago ma io preferisco fare la cosa opposta, parto dalla fine. Siamo in Carso, l’imbocco è a Ronchi dei Legionari (si quel posto famoso perché Gabriele D’annunzio è partito verso Fiume con i suoi legionari), in un quartiere chiamato Zochet. Le case popolari che fanno da barriera al Carso sono allineate e si tengono strette strette. Qua nei giorni di bora non si sta in piedi, è un luogo molto esposto e le raffiche raggiungono i 100-120 chilometri all’ora. Gli arbusti sono piegati e la vegetazione tutta è costantemente “spettinata”.
Appena imboccato il sentiero, sale alle narici il buon profumo della santoreggia ancora piena di fiorellini bianchi. Avete presente le brughiere di Scozia ricoperte di erica? Ebbene qui in Carso al posto dell’erica c’è la santoreggia. Al ritorno ne raccoglierò un mazzolino da far seccare e usare in cucina per insaporire patate e minestre.
L’erba ormai secca lascia vedere le pietre grigie e appuntite. È questo il Carso, una pietraia ricoperta di erbe selvatiche che però lascia senza fiato quando, di tanto in tanto, spunta un dianthus rosa, un perfetto contrasto che fa quasi trasalire.
Il sentiero si snoda tra rocce e arbusti, di quando in quando una vampata di rosso mi obbliga ad arrestarmi per ammirarla. È il sommacco: le sue chiome rosse, arancione con alcune pennellate di giallo regalano alla terra brulla il sentore di una tavolozza fiamminga. Se non si è mai vista la fojarola (è così che chiamiamo questo grande fuoco delle foglie) vale la pena fare un viaggetto in Venezia Giulia.
Qua e là si aprono nel terreno delle forre, è sempre necessario essere molto cauti in Carso, non dimentichiamo le foibe, quelle voragini naturali usate per eliminare migliaia di persone. Uno fra i tanti grandi dolori della mia zona. È molto insidiosa questa mia terra ma i sentieri sono ben segnati e se non si va fuori traccia si procede con estrema sicurezza.