Sono ormai tre giorni che percorriamo la Via Francigena. Siamo in otto, tre generazioni e rapporti affettivi diversi, uniti nel cammino seguendo le antiche orme dell’arcivescovo di Canterbury, Sigerico: partiti da Lucca, meta finale Roma.
La nostra quarta tappa inizia in salita dall’ospitale che diede riposo nella notte dei tempi alla nostra remota guida e ci spinge su, fino a Gambassi Terme.
Illuminati da un’alba abbacinante, non ci facciamo ingannare dalle indicazioni che ci portano verso il dedalo cittadino e, istruiti alla partenza dall’ospitaliero, iniziamo subito una lunga discesa.
Scendendo, il sole con i suoi colori viene da noi respinto ancora verso l’orizzonte e iniziamo a perderci tra casali, cavalli che brulicano l’erba fuori dai recinti e filari di Chianti, tra umidi profumi di menta e di mosto.
Le spalle reggono ancora e le vesciche ai piedi sono zittite dai cerotti. L’aria è fresca. Le generazioni parlano e si ascoltano: filosofia, musica rap, medicina e psicologia, e ultimi apparecchi di telefonia mobile. Il tempo scorre e senza accorgerci ci ritroviamo nuovamente a salire.
Ancora un perché
Mentre arranchiamo in vicinanza di antiche pievi trasformate in dimore eleganti, scopro però di essere l’unica rimasta a chiedersi il perché di tutto ciò, di questo cilicio inconsapevole accettato d’impulso e con allegro entusiasmo, durante una molle estate in riva al mare. Penso di cedere, sono sfinita, la fatica dei giorni di continuo cammino inizia ad accumularsi e i miei dolori si trasformano in notti insonni: al mattino sorge luminoso solo il sole, non io.
Una pausa vicino a una piccola chiesa. Mi tolgo lo zaino. Silenzio, mi chiudo e guardo, seduta su un pezzo di legno all’ombra. Poi vedo e ricordo la pagina di un libro di Pierluigi Capello che parla della differenza tra il “capire” di chi vive all’interno di un paesaggio e il “comprendere” di chi lo vede dall’alto, come adesso faccio io. Dalla cima, più vicino al cielo, gli occhi abbracciano la terra senza fatica e attrito, non ne afferrano solo alcuni particolari, e ti fanno sentire più tutto il tuo peso di uomo. Finalmente respiro e comprendo perché.
Illusione ottica
Forza ragazzi, andiamo, si scende, si scende ancora, siamo quasi arrivati. San Giminiano è lì, ma sembra tutto un inganno. La meta è una quinta teatrale irraggiungibile, bellissima e beffarda, che pare mai avvicinarsi. Ma non ci si arrende e si continua. Finalmente, graziati, cala il sipario davanti a noi, siamo all’ultima salita, e la città delle torri è presa dalla nostra brigata, felice.