testo e foto di Redazione altitudini.it
Sono servite due estati – quelle del 2017 e del 2018 – ad Alberto Paleari ed Erminio Ferrari per scrivere “Ossola Quota 3000”, il libro dedicato a tutte le cime della Val d’Ossola di tremila metri e oltre. Gli autori hanno dedicato due stagioni alle montagne che non avevano ancora salito e a ripeterne molte di quelle che già conoscevano, ma che i mutamenti climatici hanno stravolto, soprattutto negli ultimi anni. Ed è così che questo libro non è una semplice raccolta di “récit d’ascension”, ma un documento sullo stato attuale della montagna che, in cinquant’anni di frequentazione, Erminio e Alberto hanno visto cambiare giorno dopo giorno. Non solo: per ogni montagna, gli autori hanno scritto un racconto, che a volte è una finestra sulla storia dell’alpinismo e a volte descrive i ricordi, le emozioni, le avventure (e le disavventure) della salita. Ultimo ma non meno importante, questa guida è anche un libro fotografico: sono infatti 140 le fotografie pubblicate nel volume, di grande suggestione e splendido impatto visivo. Dedicato agli alpinisti più curiosi e romantici, “Ossola Quota 3000” è un lungo viaggio tra montagne note e meno note dove l’avventura è ancora possibile, a patto di aver voglia di uscire dalle rotte più comuni e di regalare un po’ di fatica alle “montagne che non danno gloria”, ma qualcosa di più prezioso: solitudine e libertà.
Quello che segue è il racconto dedicato al Tamerhorn, una cima situata in val Formazza, che in passato fu testimone del passaggio dei contrabbandieri ossolani verso la Vicina Svizzera, e che oggi è un’ottima meta scialpinistica.
Tamierhorn (3087 m)
Agli alpigiani della Valmaggia che valicavano il Tamierpass per fare commercio di vitelli in Formazza, non sarebbe mai venuto in mente di salire al Tamierhorn; né ci avrebbero pensato gli ossolani che al passo arrivavano per contrabbandare le loro merci. Non che oggi ci siano molti motivi in più per salirla, questa montagna, se non per un innocente vizio collezionatorio (sì, ‘sta storia dei Tre-mila) o per quella curiosità che spinge talvolta a cercare un senso dove non c’è e finire comunque per darglielo.
Gli sciatori dal palato fine, loro, se la godono, salendola da Canza, via Tamierpass; ma via le neve c’è solo da arrancare su pietraie impietose, a meno di cercare il bello (pur sempre relativo) sulla facile cresta che si alza a monte del Passo del Lago Nero. Quel lago, ecco. Ogni volta che ci sono passato ho sempre incontrato coppie di innamorati che vi salivano a specchiarsi (io scendevo già, ma è che l’amore allunga i tempi e ruba i minuti alla sveglia). A guardarlo dall’alto è facile capire che cosa li porti fin lassù, quando l’ombra lascia il posto a una gran luce riflessa dalle sue acque appena increspate, e violini che suonano e promesse di amore eterno e Leonard Cohen che canta Hallelujah. L’ultima volta ero col mio cane, che gli voglio bene, ma non intendo dire che sia la stessa cosa. Eppure, anche su quella cima così negletta, con il Basodino a portata di voce, desolato, spoglio della sua neve che ho amato da ragazzo, e la pozza che resta dove un tempo c’era il ghiacciaio di Antabia, e l’alta Val Bavona nascosta dalle nebbie, ma pur sempre la valle di Plino Martini, anche su quella cima condannata all’oblio e all’insignificanza, per un momento mi è sembrato che un senso si potesse dare a tutto ciò che esiste. Per carità, è stato solo un momento.
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