Racconto

NEVE SULLE PALME DA COCCO #5

Vorrei tutti loro intorno alla mia tavola quest’anno per Natale. Voglio celebrare insieme alla separazione, dentro una casa capace di contenere distanze.

testo di Marta Mattalia

Brunone (Archivio Fotografico Guido Ferrari)
19/12/2022
5,5 min
È l'otto dicembre di un anno lungo la linea della vita. Per tradizione in questo giorno si è sempre montato l'Albero di Natale.

Quello finto si può riutilizzare per diversi anni, insieme alle decorazioni di plastica che ricordo una a una nel momento in cui apro il cassetto della memoria in cui sono indelebilmente sistemate, anche a chilometri di distanza. Ora sono qui, c’è la Luna piena e dal Vietnam faccio partire le pratiche per ottenere il visto per la Cambogia. Non è Natale da tutte le parti del mondo, non nel sud est asiatico in cui si osserva la tradizione Buddhista scandita dal calendario lunare. Che ne sa la Luna piena ai tropici del Natale, che ne sanno le palme da cocco sulle spiagge e i 30 gradi la notte a dicembre.

È il primo Natale dopo almeno cinque anni che trascorro lontana da casa. Prima di allora c’era ancora mia madre e lei teneva a celebrarlo insieme, pur essendosi sempre definita orgogliosamente atea. Aldilà del significato religioso cristiano, rappresentava un momento per essere insieme, nella cruda e semplice realtà. Senza esserne pienamente cosciente, in quei casi mia madre mi insegnava a onorare Dio nella sua forma più essenziale, perché cosa è Dio se non stato di unione.
A Natale quest’anno sarò in un luogo sconosciuto insieme a sconosciuti. A Natale sarò una straniera. Dovrò farmi una casa lungo la strada, una casa temporanea. La neve scenderà sulla spiaggia e ricoprirà le foglie delle palme da cocco.

In questo peregrinare mi sento fuori da tutto. Quando mi trovo in situazioni accomodanti, in un hotel, in un ristorante in stile occidentale o in un tour turistico, ho la sensazione di essere un’intrusa. Il mio modo di muovermi diventa randagio. Vado in cerca di soluzioni non previste. La mia pratica quotidiana è eludere tutte le traiettorie preimpostate per una persona che arriva da un paese più ricco per viaggiare in uno più povero. L’essere identificati come cash ambulante, è lo scotto da pagare per ogni occidentale. È il debito che ci portiamo dietro, rigurgito della disuguaglianza creata dal teatro mondo.

Le persone qui ti bramano e ti odiano. Sei portatore di risorse economiche, ma stai facendo qualcosa che per la gran parte della popolazione non è accessibile per cultura e politica del sistema. Io cerco di ribaltare la dinamica, di non assecondare la principale aspettativa che loro hanno su di me. Se paghi solitamente tutto si risolve. Io invece non pago e vado in cerca dell’altro che sono.

Non dormo quasi mai nelle Homestay, me ne sto accucciata nelle case della gente che mi offre ospitalità. Non noleggio le biciclette e i motorini per muovermi. Vado a caccia di local bus, anche quando ti dicono che non sono operativi per farti scegliere il pacchetto turistico. Oppure cammino fino allo sfinimento e poi al limite chiedo un passaggio lungo la strada per tornare indietro. Dio un motorino diretto in città te lo offre sempre sulla via, specie se piove da ore e hai la pelle dei piedi si scioglie.
Vado a mangiare nel ristorante local anche se non hanno il menù e non capisco che cibo preparano. Loro non parlano inglese e io non parlo la loro lingua. Alla fine però mi portano qualcosa al tavolo e io mangio.

Non si tratta solo di una questione di soldi e risparmio. Io voglio sfidare il mondo a vedersi aldilà di questo genere di scambio su cui abbiamo impostato i sistemi sociali e politici delle nazioni. Dietro ogni via asfaltata dal denaro, esiste il sentiero sterrato in cui sentire ancora odore di alberi e bestie. Cosa rimane senza il filtro protettivo e anestetico dei dollari, degli euro, dei riel o dei dong? Di quali altre energie di scambio disponiamo per dare e ricevere? Io mi espongo nuda sulla strada. Ciò che offro è la fame di vederti, di mostrarmi, di spogliarci e vedere cosa resta oltre quello che pensiamo di possedere.

Ripenso all'autista di Mui Né, che ci portava sulla jeep arancio fluorescente verso il deserto delle Dune Bianche, durante una delle poche escursioni proposte da un ostello che ho accettato di fare.

Io ero seduta sul sedile del passeggero accanto a lui, ma non si è mai girato a guardarmi. Finché arrivati all’ingresso al sito delle Dune, non ci ha chiesto di pagare per il trasporto su una moto da spiaggia a 4 ruote che ci portasse in cima alle dune, per un costo doppio di quello dell’intera escursione. Gli ho detto che per me il deserto è sacro e va camminato in silenzio. Lui ha risposto che a piedi non sarei riuscita a farcela in tempo perché avevamo solo 40 minuti prima di spostarci sulle Dune Rosse per il tramonto. Sono partita a piedi. Al ritorno risalendo sulla jeep, accanto a lui, l’ho guardato e gli ho detto It was beautiful, Sir.

Ripenso alle donne del ristorante di Nha Trang, che mi hanno portato la zuppa al posto degli spring rolls e quando ho cercato di comunicarglielo, hanno riportato il cibo servitomi in cucina e mi han detto di andare via. Me ne sono uscita sotto la pioggia torrenziale del monsone.

Ripenso al proprietario dell’agenzia viaggi di Hội An, con cui mi son arrabbiata accorgendomi che il pagamento con carta di credito mi era costato quasi il doppio del biglietto del bus per le commissioni, e lui mi ha stornato la transazione e mi ha permesso di pagare in cash.

Ripenso ad An dietro la scrivania del suo ostello, quella sera che sono arrivata sfinita dopo un’ora di cammino con lo zaino di dieci chili sulle spalle, e lei mi ha detto di andare a cambiare i dollari perché la conversione in dong prevedeva dieci centesimi che io non avevo. Le ho quasi gridato in faccia che era un paese malato di attaccamento al denaro. Mi ha detto che non voleva gente tossica nel suo ostello, allora le ho chiesto scusa e mi ha permesso di restare. Su booking.com alla fine l’ho recensita con cinque stelline.

Rivedo il guardiano del palazzo nella zona fancy di Ho Chi Minh che non mi ha permesso di prendere l’ascensore per salire al rooftop, anche se cercavo di spiegargli che mi aveva invitata Angela, un’amica che abitava proprio in quello stabile. La signora del negozio di Mũi Né a cui ho riportato indietro i biscotti perché ero convinta mi avesse venduto un pacchetto scaduto.

Ripenso a Tristan che mi ha invitata a dormire nella sua stanza e se n’è andato via senza farsi più vedere per due giorni, finché sono ripartita. E anche a Dong che mi ha lasciata alla fermata del bus dicendo che sarebbe tornato a salutarmi, ma poi è sparito senza più rispondere ai miei messaggi.

Tutte le bestie che ho cacciato via dalla mia stanza perché non volevo salissero sul letto, o mi elemosinassero cibo mentre mangiavo.
I fiori che ho notato lungo il passaggio ma ho calpestato perché mi sentivo troppo stanca per spezzare la linea del mio incedere.

Vorrei tutti loro intorno alla mia tavola quest’anno per Natale. Voglio celebrare insieme alla separazione, dentro una casa capace di contenere distanze. Prendo un grande respiro, per trovare il coraggio di specchiarmi e vedere attraverso il mondo anche il peggio che sono. Divento io il nostro Natale, così puoi trovarmi a un passo da te anche lontano migliaia di chilometri. Su questa terra che cammino e riverisco affondandoci i piedi, oggi è un otto dicembre di qualche anno lungo la linea della vita e io ho preparato l’Albero a forma di palma da cocco. Le sue luci mi illuminano il cuore a intermittenza, sono piena di doni.

"Dietro la spalla stanca". Il Natale di Altitudini 2022.

Anche quest’anno per farvi gli auguri di Natale, abbiamo preparato un piccolo calendario dell’Avvento, segnato da quello che rende prezioso il nostro magazine, che ci condurrà al prossimo Natale.

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Palle di natale 2022_03
Marta Margherita Mattalia

Marta Margherita Mattalia

E' stata concepita in Algeria, scoperta in Grecia e nata in Italia in una data composta da 3 numeri primi. Intesse la sua formazione e il suo percorso artistico fra il canto, la scrittura e il teatro. Si è diplomata al Conservatorio Ghedini di Cuneo in Vocalità Afroamericana, e in seguito alla Scuola Holden di Torino, nel college di Acting. Cerca dentro la voce attraverso lo stile di musica classica indiana del Dhrupad, e la tradizione bengalese del Baul. Negli ultimi 6 anni sta portando avanti un progetto di viaggio nel mondo, in cui fonde la scoperta del pianeta terrestre alla ricerca artistica. Quando è straniera si sente a casa.


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1 commenti:

  1. David ha detto:

    Tell me what you see there in your newly discovered world… Like the description of the cargo boat rides on you FB page, very real… Then tell me how you feel, and why… So I can be there with you, too.

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