Recensione

MILIÉS CON L’ACCENTO GIUSTO

Mariano Lio da almeno trent’anni esplora con curiosità le montagne a cavallo tra il Feltrino e il Trevigiano, regalandoci informazioni preziose sulla vita di coloro che ci hanno preceduto.

testo di Daniela Perco, foto archivio di Mariano Lio

Ragazzine con narcisi, dal Colle dei Tigli, inizio anni '50
02/11/2025
7 min
Mariano Lio da almeno trent’anni esplora con curiosità e passione i suoi territori, a cavallo tra il Feltrino e il Trevigiano, regalandoci informazioni preziose sulla vita di coloro che ci hanno preceduto, soprattutto attraverso le memorie dei protagonisti.

Il titolo del volume Miliés con l’accento giusto è significativo e sottolinea fin da subito l’importanza del nome di un luogo, in questo caso di una piccola comunità prealpina, appartata ma non marginale, da proteggere per la sua unicità “anche dall’incursione degli accenti sbagliati”, come scrive Daniele Ferrazza nella premessa al libro.
Una comunità, appunto, più che un villaggio, di cui l’autore ricostruisce nei dettagli relazioni sociali, spostamenti, storie di famiglia, tecniche produttive, ritualità religiose e profane, toponomastica, a partire proprio dalle ipotesi etimologiche relative al nome Miliés: miles, milites, milium (aree di accampamento di soldati romani)?
Un prediale romano da Aemilianus, come suggerisce il linguista Dante Olivieri o da Aemiliasium-Aemilius come ipotizza Giovan Battista Pellegrini, il quale accenna anche a una possibile derivazione da milium (miglio), un cereale coltivato già in epoca romana, ingrediente principale delle polente prima dell’arrivo del mais in questi territori?

Miliés era un luogo di prealpeggio, in una conca a 680 metri di altitudine, ai piedi dei monti Doch e Cesen, nel comune di Segusino. Rispetto agli insediamenti sparsi (maiolère) destinati al prealpeggio nel confinante territorio feltrino, ma anche nello stesso comune di Segusino, presenta una struttura accentrata, un nucleo di abitazioni assai spartane, grandi stalle e capienti fienili, una grande lama, detta Laguna, per gli animali e una chiesa ottocentesca, che funzionava solo d’estate, a patto di portarci il prete da Segusino a dorso di mulo. Una comunità dinamica che si ricomponeva ogni anno per la fienagione, il pascolo dei bovini e la coltivazione dei campi (patate, mais, fagioli, frumento).

L’articolazione verticale dell’economia agrosilvopastorale ha saputo valorizzare, come ricordano Mauro Varotto e Viviana Ferrario “le diverse fasce altimetriche, sfruttando al meglio la capacità biogenica dei differenti quadri ambientali, e adeguando di conseguenza le forme d’insediamento mediante una continua redistribuzione nello spazio e nel tempo della popolazione”(1).
Le ricerche di Lio hanno messo in evidenza la valorizzazione della verticalità del territorio, con il controllo di attività produttive non contigue agli insediamenti di fondovalle, ma comunque raggiungibili in tempi accettabili.

In posa con i narcisi raccolti, 1955

Pùlchera e S-ciosèla co na mussada de fassine, anni ’50

Pùlchera prepara il caffè per gli ospiti, davanti casa, metà anni ’50

Panorama dalla gerla, metà anni ’50

Miliés era un luogo di prealpeggio, in una conca a 680 metri di altitudine, ai piedi dei monti Doch e Cesen, nel comune di Segusino.

A partire dall’estimo del 1717, è attestata a Miliés la presenza continuativa di famiglie proprietarie di Segusino o di Stramare, che presidiavano anche gli insediamenti minori di prealpeggio. I nuclei domestici si aggregavano per periodi variabili, prevalentemente da maggio a settembre, ma parecchie famiglie decidevano di tornare a valle solo nei tre mesi invernali o addirittura di rimanere stabilmente a Miliés. Come accadeva anche in altri contesti alpini e prealpini (per esempio a Caoria nella Valle del Vanoi (2), la residenza principale, a livello simbolico, ma anche ufficiale, rimaneva quella del fondovalle. Segusino era il luogo dove si celebravano i matrimoni, dove le donne scendevano per partorire (se facevano in tempo ad arrivare), dove si battezzavano i figli, dove si trovava sepoltura dopo la morte. Si alternavano pertanto permanenze differenziate nelle diverse unità abitative, con una ciclica riorganizzazione anche dei rapporti di vicinato.

Il proverbio Segusin senzha Miliés no val an zhariés (Segusino senza Miliés non vale un albero di ciliegio) è una conferma dello stretto intreccio tra il fondovalle e la comunità di Miliés, dell’importanza delle attività pastorali che ebbero un impulso decisivo nel secolo XIX e della conseguente necessità di spostamenti verticali per cercare erba/fieno da somministrare ai bovini.
All’economia del fieno l’autore dedica un capitolo molto dettagliato, a sottolineare la centralità di questo settore, restituendoci un lessico ricco (balestra: bracciata di fieno; mussalegn: treggia da fieno; omet: rinforzo al montante posteriore della slitta; mussada: carico di fieno sulla slitta, ecc.) e informazioni puntuali frutto dell’osservazione attenta e dei reiterati incontri con i testimoni.

A proposito della meda (meta / covone), una delle modalità di stoccaggio del fieno all’aperto, con palo centrale, Mariano Lio scrive: “Al fine di rendere il manufatto più stabile e fisso al suolo, è previsto che la base sia leggermente ovale, con le forme allungate rivolte verso valle. Contemporaneamente, se la zona è abbastanza ventosa e se ne conosce l’abituale direzione, può essere opportuno che il basamento abbia la parte oblunga nel senso opposto alla direzione del vento. Infine, il palo dovrà pendere un po’ verso monte, poiché il peso della meda graverà già in modo naturale verso valle”.

Colpiscono, nelle belle immagini a corredo del volume, la grandiosità dei fienili strabordanti di fieno e l’ampiezza delle stalle sottostanti, rispetto alla precarietà delle abitazioni, il cui nucleo principale, come avveniva in altre zone di prealpeggio, era costituito da una stanza/cucina con il focolare (cason da fogo), funzionale alla lavorazione del latte e da una stalla con fienile. Le camere furono, per lungo tempo (almeno fino alla prima metà del ‘900), del tutto opzionali e i cessi esterni erano forse il simbolo più evidente della transitorietà dell’abitare quei luoghi: quattro pali, circondati da canne di granoturco o fascine, senza alcuna copertura.
Le immagini, comprese quelle della grande lama lastricata, detta Laguna, posta al centro del paese, sembrano confermare una sorta di gerarchia degli esseri viventi in quel contesto prealpino, in cui gli animali bovini si collocano al primo posto.

Panorama estivo di Miliés, circa 1960

Falzh e falcar (lama e manico); falce aperta e disarmata

Brìnzhia (cestone da fieno, strame)

Sogat e spòla (corde con taccola e taccola)

Stalle e fienili della Strada dei Bastianet, anni ’50

Sono storie che Mariano restituisce con rispetto, con discrezione, senza mai indulgere in atteggiamenti idilliaci, nostalgici o compassionevoli.

Uno degli aspetti più interessanti del volume è sicuramente la ricostruzione di alcune storie delle famiglie insediate stabilmente a Miliés, che ci consente di cogliere la complessità della vita, dei rapporti con i luoghi, della micro-mobilità, un elemento di grande rilevanza nell’esperienza quotidiana, dell’emigrazione, delle scelte matrimoniali (molto spesso le donne provenivano da fuori), delle dinamiche ereditarie, di soluzioni dolorose dettate dalla costrizione. È il caso, ad esempio, della decisione di Fiorina Solagna, moglie di Antonio Miotto “Maròche”, di partire come balia da latte nel 1939, alla nascita della figlia Silvana. Un sacrificio che comportò una riorganizzazione dei rapporti all’interno della famiglia e uno scambio di favori con un’altra famiglia legata da vincoli di amicizia, ma che permise loro di comprare una piccola casa nel fondovalle, che ospiterà Antonio, Fiorina e il figlio minore, Giovanni, quando scenderanno definitivamente da Miliés nel 1956-57.

Sono storie che Mariano racconta con rispetto, con discrezione, senza mai indulgere in atteggiamenti idilliaci, nostalgici o compassionevoli. Sono uomini, donne e bambini a cui una ricerca attenta negli archivi familiari ha restituito in molti casi anche i volti, le posture nel lavoro o nei momenti di spensieratezza, come ad esempio andar a narcisi in occasione della festa di Maria Ausiliatrice, il 24 maggio, diventata la Festa dei narcisi nel secondo dopoguerra. Alcune di queste fotografie, un po’ bucoliche, furono sicuramente scattate dai villeggianti provenienti dalle città di pianura, la cui presenza, a partire dagli anni ’40 modificò l’assetto di questa comunità e portò alla creazione di osterie, trattorie, colonie montane e strutture ricettive. Ma questa è un’altra storia.
_____
1) M. Varotto, V. Ferrario, Abitare le terre alte, in Marmolada, a cura di A. Carton, M. Varotto, Cierre ed., Dipartimento di Geografia Università di Padova, Sommacampagna (Vr), 2011, p. 184-185.
2) D. Perco, Micromobilità e residenza in una comunità alpina del Trentino orientale, in “Annali di San Michele” Equilibri sulle Alpi. Saggi in onore di Robert Mcc. Netting, 11 (1998), pp. 201-214.

Mariano Lio
Segusinese vive fra l’Alto Trevigiano di Sinistra Piave e il Basso Feltrino (Bellunese). Di questa zona ama raccogliere usi e costumi, espressioni dialettali, immagini, oggetti di vita andata, storie familiari ritenendoli aspetti e modi alternativi di fare storia locale e raccontare il territorio, quello della gente comune.
Da queste passioni sono nate ricerche sui soprannomi di famiglia, sui proverbi, sulle espressioni dialettali, sul borgo di Stramare, sull’economia rurale di montagna e mezza costa, sul legame linguistico con la comunità messicana di Chipilo, sul villaggio di Miliés.
I suoi lavori hanno trovato l’apprezzamento, tradotto nella premessa alle singole pubblicazioni, di importanti nomi della cultura locale veneta: Giancarlo Follador, Manlio Cortelazzo, Ulderico Bernardi, Dino Coltro, Gianluigi Secco, Danilo Gasparini, Flavia Ursini, Daniele Ferrazza.
Da una ventina di anni concentra energie e attività nel borgo, ora non più disabitato, di Stramare diventato fulcro di una serie di iniziative legate alla cultura e alla valorizzazione del territorio.

Miliés con l’accento giusto. Cronache da un villaggio prealpino

Autore: Mariano Lio
Editore: Libreria Editrice Agorà, 2025
Pagine: 229
Prezzo di copertina: € 24,00

Libreria Editrice Agorà

Daniela Perco

Antropologa, già direttrice del Museo Etnografico della provincia di Belluno (ora Museo Etnografico Dolomiti), di cui ha curato l’ideazione e l’allestimento, ha promosso progetti di ricerca e di catalogazione sulla cultura materiale e immateriale e coordinato la collana editoriale del Museo. Ha condotto ricerche sul terreno in area alpina veneta e trentina, in Brasile tra le comunità di origine italiana e in Egitto meridionale. I suoi principali campi di interesse, oltre alla museologia, sono il patrimonio di tradizione orale (fiabe e leggende) e l’emigrazione, specie quella femminile delle balie da latte e quella contadina in Brasile meridionale. Si è occupata di antropologia dell’ambiente, soprattutto della percezione del bosco in area alpina e prealpina.


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4 commenti:

  1. Dal Mas Massimo ha detto:

    Località di grande fascino, dove parecchie volte con amici, siamo partiti per fare delle gite di Scialpinismo.
    Grazie!
    Il libro è senz’altro da comprare

  2. Armando Scarpa ha detto:

    Grazioso ed ospitale luogo, girando nei dintorni provi un sentimento di tranquillità.

  3. Mariano Lio ha detto:

    Gentile Massimo,
    mi fa piacere risponderle perchè in effetti Miliés è un villaggio che ha, o mantiene, il suo fascino.
    Le nuove costruzioni, l’imprescindibile modernità sopraggiunta, il bosco che spinge per riappropiarsi degli spazi oggi lasciatigli a disposizione, non impediscono all’occhio attento di cogliere gli elementi di una vita “altra” che è stata di lavoro, stagionalità, migrazione temporanea, di date scandite da santi e tradizioni…
    Filo conduttore di tutto questo sono le famiglie locali, accomunate dallo stretto rapporto con natura, animali, spirito di solidarietà e un mondo rurale che sembra così lontano, ma che conta ancora oggi tanti protagonisti e testimoni diretti.
    Grazie a lei e, chissà, magari a incontrarci a Miliés!
    Mariano Lio

  4. Mariano Lio ha detto:

    Gentile Armando,
    pur non contando particolarità uniche, la dolcezza della vallata, la generosità della natura, l’insediamento storico con lo sviluppo successivo, la cintura di montagne che la protegge e l’apertura panoramica a sud, verso i Colli Asolani, Euganei, fino alla pianura e alla Laguna, trasmettono tranquillità e rendono il contesto di Miliés un felice esempio di prima montagna per chi sale dalla pianura.
    E la somma di tutto questo permette di capire perchè nel passato Miliés sia stato scelto anche come luogo stanziale da tante famiglie, accomunate da questo “vivere sull’ért”. Un vecchio ed eloquente proverbio locale sentenzia: “Segusin senzha Miliés, no l val an zhariéss” (Segusino senza Miliés non vale un ciliegio)!
    Oggi, questa indagine con accenni storici, religiosità, economia, rapporto con l’alpeggio, fienagione, produzioni agricole, mappe storiche, caratteristiche costruttive, toponomastica, leggende, storie familiari, il tutto corredato da un bel apparato fotografico, permettono di ripercorrere la vita che vi si è consumata fino agli anni Cinquanta/Sessanta del Novecento.
    Ritengo possa essere un buon contributo per fissare su carta una parte di memoria di vite, luoghi e attività già di per sè naturalmente destinata a essere macinata dal tempo e quindi dimenticata.
    Grazie e un cordiale saluto
    Mariano Lio

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