Racconto

L’ORMA

La notte aveva portato con sé un vento affilato, e un freddo solido, lucido, che spezzava il respiro.

testo di Laura Bortot, illustrazione di Chiara Abastanotti  / Thiene (VI)

20/12/2021
3 min
La notte aveva portato con sé un vento affilato, e un freddo solido, lucido, che spezzava il respiro.

L’orma della ciaspola del nonno si era congelata, i cristalli di neve avevano formato una trama compatta, ormai quasi indecifrabile in trasparenza.
La bambina ripensò al gesto lento e solenne di quel primo passo con le ciaspole antiche, e all’orma che quel passo aveva inciso nella neve.
Prima le aveva toccate a lungo, il legno era liscio, biondo, il reticolo di corda era ancora tenace, le cinghie di cuoio si sarebbero adattate alle sue piccole scarpe. Aveva appeso le ciaspole all’esterno dello zaino e si era avviata lungo il pendio. Poi, trovato un avvallamento in cui la neve non era stata sfiorata nemmeno dal profumo degli aghi di pino, se le era infilate.

Aveva sollevato il piede, e un pensiero leggero aveva spiccato il volo, dileguandosi rapido, per non appesantirsi di tristezza e di ricordi. Un pensiero per il nonno. Quindi il piede era calato lentamente verso il mare azzurro di cristalli su cui scivolava impercettibile un ultimo raggio di sole.
Aveva avuto la sensazione di violare un angolo incontaminato di montagna, di frantumare qualcosa di fragile, indifeso, di corrompere per sempre un incanto segreto, nascosto agli occhi degli altri. La ciaspola era affondata appena, poi la bambina aveva di nuovo sollevato il piede e si era girata a guardare. Le corde avevano creato una geometria perfetta, definita, linee oblique regolari cucivano un tessuto affidabile, i margini più evidenti e profondi non ferivano la neve, si arrotondavano docili, e minuscoli giochi di ombre e di luci creavano un’immagine specchiata. Un’orma. Un segno del passaggio.

Anche il nonno era passato. Era da un’altra parte. La bambina non pensava che fosse in cielo, non le sembrava un buon posto dove stare, il cielo, era troppo lontano, e uniforme, e poi lassù non c’erano le montagne. Il nonno era in mezzo alle montagne, ne era sicura. Camminava e poi si riposava, si sedeva su un sasso e si toglieva il cappello di feltro, si asciugava il sudore sulla fronte. Quindi riprendeva a camminare e guardava in alto, controllava le striature del cielo e a volte diceva: “Non mi piacciono quelle nuvole, andiamo”. La bambina sapeva che il nonno trascorreva ormai tutte le sue giornate sulle cime più alte delle montagne. Perché lì stava bene. Perché lì non si sarebbe mai sentito solo.

La neve, la montagna, le avevano restituito un’orma che non era solo della sua ciaspola, era l’orma del nonno e della bambina insieme, l’orma di un passo congiunto, del passato e del futuro che per un attimo camminano insieme.

Un segno del passaggio. Prima, quando lui c’era ancora, purtroppo la bambina non aveva mai conservato un’orma del nonno. Aveva sempre pensato che ci sarebbe stato tempo, che di orme ne avrebbe lasciate ancora tantissime, che si sarebbero susseguiti tanti inverni, tanti fiocchi di neve caduti, tante ciaspole indossate. E ora che quel tempo si era ridotto a un puntino dentro la sua testa, un puntino che poteva vedere soltanto voltandosi indietro, aveva pensato di infilare la sua piccola scarpa nella ciaspola del nonno, di ripercorrere quel gesto come a volerlo accompagnare, tenendolo quasi per mano, il nonno, entrando nel suo corpo, appropriandosi dei suoi movimenti.

La neve, la montagna, le avevano restituito un’orma che non era solo della sua ciaspola, era l’orma del nonno e della bambina insieme, l’orma di un passo congiunto, del passato e del futuro che per un attimo camminano insieme, e in quel palpito il tempo stesso non esiste più, e così lo spazio, con le sue misure, le sue dimensioni, e allora il piede piccolo prende il posto del piede grande, adatta le cinghie, le stringe bene, e calzando un’antica, obsoleta racchetta da neve si avvia lungo il sentiero della vita.

Si era voltata indietro, la bambina. A guardare l’orma. E proprio in quel momento il sole della vigilia di Natale era scomparso dietro la montagna. Si era alzato il vento, un brivido di freddo, e l’orma era rimasta immobile, intatta. Un segno del passaggio, una filigrana sottile della memoria.

Pittura digitale, formato A4 orizzontale, di Chiara Abastanotti

Laura Bortot

Laura Bortot

Amo le montagne e amo le parole. La montagna mi insegna a usare le parole come segnavia. Ogni tanto sono le parole ad aprire una via.
Sono traduttrice letteraria: cammino su due versanti, la lingua tedesca e la lingua italiana, vegetazioni diverse, scorci diversi. Ogni giorno attraverso felice questi territori.


Il mio blog | altitudini.it è la mia rivista digitale: mi fa viaggiare, camminare. In altitudini la vita e la montagna nutrono la scrittura e la scrittura lascia un segno nella vita e nella montagna.
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2 commenti:

  1. Luca ha detto:

    Ci si sta bene tra queste parole, e…. ancor di più se si sperimenta una mancanza.

    1. Laura Bortot Laura Bortot ha detto:

      Grazie.

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