Recensione

L’INVENTARIO DELLE NUVOLE

«Giovanotti piangete piangete / han tagliato i miei lunghi capelli / eran biondi eran ricci eran belli / giovanotti piangete con me»

Recensione di Davide Torri

19/03/2023
7 min
Me lo vedo il Franco, con la sua barba cinerea, salire tra le strette pareti che obbligano il percorso della Provinciale 335 e,

dopo una golosa sosta a Dronero per riempirsi le saccocce di meringhette al cioccolato e rum, affrontare la vertiginosa e stretta strada a tornanti, con pochi parapetti e abbastanza strapiombi, che da Stroppo porta a Elva. In Val Maira. Dove “ci sono poche strade, strette e tortuose, torrenti effimeri e sentieri da capre, mal tracciati e incerti, perché spesso si smarriscono tra intrichi di acacie spinose e faggi scheletrici. Del resto Maira, che è il nome della val- le principale, nella nostra lingua madre, l’occitano, sta a significare ‘magra’.”

Tanto per Faggiani #nonesistonopostilontani. Me lo vedo meravigliarsi davanti agli affreschi vecchi di sei secoli che illuminano l’aguzza Parrocchiale di Santa Maria del paese e, poi, avvicinarsi ai vecchi del posto per farsi raccontare di come Elva fosse ben diversa dal pallido paese che è adesso. Me lo vedo infine ritornare a casa con Manuela, un po’ taciturno, ma con in testa l’idea per un nuovo eccellente romanzo.

Forse non è così che è nato L’inventario delle nuvole [1], il nuovo romanzo di Franco Faggiani, ma a me piace crederlo.

Protagonista e voce narrante è Giacomo, ragazzo che cresce attraversando la Prima Guerra Mondiale proprio lì in Val Maira, dove “le montagne sono sbilenche, irregolari, incise da gole frastagliate e profonde ed anche le altezze sono vaghe sopra una certa quota, oltre il limite dei pascoli alti. Perché nessuno le ha mai misurate con attenzione, tanto su quelle cime ventose, su quelle creste ossute, non ci saliva mai nessuno, se non i bracconieri, i banditi o qualche caviè.”

Giacomo è uno di loro, un caviè, un lhi pelassier, un cacciatore di capelli[2], U cap’llèr[3] che avrà, a differenza di molti suoi coetanei, la fortuna di studiare: questo non lo allontanerà dalla valle ma gli donerà un Terzo Occhio[4].

Franco Faggiani

Sono sicuro che anche l’autore, nella vita precedente, fosse un caviè, perché i pellasier erano abili affabulatori, cantastorie e contastorie con una grande capacità di persuasione (resa enorme dalla povertà e dalla fame delle donatrici)[5]. E Faggiani lo è cantastorie: il suo scrivere del mondo delle terre alte ha raggiunto una cifra stilistica eccellente che lo avvicina ai pochissimi scrittori di montagna[6] che possono dirsi tali.

Il suo inarrestabile nomadismo[7], che non è solo geografico ma anche artistico e personale, gli permette di scrivere quasi trecento pagine senza, di fatto, far accadere nulla di eccezionale (come del resto nulla di eccezionale si racconta nella Recherce proustiana e, più contemporaneo, nella labirintica lotta di Knausgard). Eppure i romanzi di Faggiani stanno davanti a noi come un mezzo di trasporto non proprio definito, un piedibus della scrittura. Scrittura che viaggia non soltanto nel mondo della montagna (in senso geografico, culturale e  umano) e attraverso lo stesso autore ma, ciò che più la rende preziosa, viaggia attraverso sé stessa: Franco ci ha abituati a coprire con i suoi romanzi distanze enormi e ne L’inventario delle nuvole, più che negli altri precedenti viaggi/scritture, il racconto si muove circolarmente come un trenino elettrico dei bambini e noi, come bambini dagli occhi spalancati, siamo lì a guardare questo viaggio senza che in nessuna pagina si abbia l’impressione di un dèja vu.

Tutti i bravi scrittori hanno, su un piccolo quaderno nero appoggiato sulla scrivania (o, meno prosaicamente, una cartella sul desktop), una selezione degli incipit dei Grandi Romanzi. Lo aprono e cercano ispirazione. Anche L’inventario delle nuvole ne ha uno da ricordare: “da ragazzo mi ero immaginato che le mie Valli Dio le avesse fatte con gli avanzi.”

Il giovane Giacomo si muove, fisicamente ma anche filosoficamente, avvicinandosi e allontanandosi dai luoghi della Valle Maira. E con i luoghi anche le persone si avvicinano e si allontanano dal protagonista. Non esistono comprimari, ogni personaggio, e sono parecchi, appare in scena ben illuminato. La luce che lo definisce è quella dell’umanità in un mare in tempesta che non perde mai la bussola dell’essere umano in mezzo alla natura: “il nonno mi aveva portato a fare il bagno in una di queste pozze, come fosse stato un secondo battesimo, o forse solo per ribadire che appartenevamo a quei luoghi, che fiume, corpi umani, sassi lucidi e alberi eravamo un tutt’uno.”

Foto di eberhard grossgasteiger su unsplash.com

Abbiamo già detto che ne L’inventario delle nuvole nulla accade di eccezionale eppure proprio per questo sentiamo il romanzo come nostro. Anche le nostre vite ci sembrano senza eventi eccezionali: come Giacomo diventiamo grandi, troviamo amicizie, scopriamo l’amore, inciampiamo nella religione, soffriamo di solitudine, veniamo toccati dalla morte.

“Desideria (lo) aveva vestito di tutto punto, comprese le scarpe lucide: «Anche se dove andrà non gli serviranno; ma gli piacevano e voleva che le tenessi sempre pulite».”

Faggiani al tema della morte dedica una manciata di pagine perfette e sufficienti per scoprire una parte poco conosciuta del mondo dei montanari. Tra loro la morte non è mai né tragica né vana, come se, dopo il suo arrivo, lo spazio che si libera con la scomparsa dell’amato possa essere colmato con cose nuove, migliori. Nessun muro divide il mondo dei morti da quello dei vivi. La morte non è mai l’ultimo movimento.

“Credevo che l’assenza, specie se definitiva, di una persona così vicina, così incardinata alle nostre vite, creasse avvilimento, tristezza, preoccupazioni. Invece, un mese dopo la morte del nonno, notai con meraviglia che Desideria e mia madre, passata l’iniziale mestizia, erano rifiorite.”

Giacomo attraverserà numerose volte i passi alpini innevati e il lungo cammino sui sentieri dei caviè lo porterà, al termine di L’inventario delle nuvole, ad essere un uomo nuovo (non quello auspicato dai futuristi, direi quello degli antichi romani)

“ero diventato Giacomo Cordero, di Orage. Ovvero un’altra persona, con un’altra storia davanti. Senza per questo voler rinnegare nulla, anzi, rimanendo sempre grato al mio passato, remoto e recente, che, con i suoi luoghi e le sue persone, mi aveva reso quello che ero.”

E come una persona a cui si offre una nuova opportunità Giacomo potrà avere qualcosa di più dal futuro. Forse.

Faggiani fa centro, nuovamente, con un romanzo che, più dei suoi precedenti e, soprattutto, più di quelli che stanno oggi nel settore montagna delle librerie, ci racconta della gente di montagna senza invenzioni né camuffamenti. Ci racconta di loro, dei dolori, delle amicizie, degli amori e lo fa con un cuore grande e con tanta poesia. Lui, il Franco, di certo ce l’ha un inventario, delle nuvole e delle belle storie.

“Sembrava quasi che il buio invernale fosse nascosto tra gli alberi, sotto le pietre del Maira, negli anfratti, e che appena il sole rotolava via uscisse per risalire in fretta i fianchi delle montagne, scivolando senza rumore sui prati, spargendo tristezza e timore.”

_____
[1] In fondo non è sbagliato che il nuovo libro di Faggiani sia nella collana Le strade di Fazi perché il romanzo è, come l’autore ci ha ormai abituato (bene), un viaggio nei luoghi e nel tempo.

[2] Oggi Elva e l’intera Valle con le tante frazioni sui ripidi versanti oggi, anche loro, senza neve, conta meno di cento abitanti, divisi in ventotto frazioni. Elva, fino alla metà del secolo scorso era la “capitale dei capelli” e i suoi uomini partivano, dopo la fienagione, come il protagonista de L’inventario delle nuvole, alla ricerca dei capelli migliori da tagliare, in Piemonte, in Veneto, in Friuli, e rivendere in Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Argentina per farne pregiate parrucche e rispondere alle mode del tempo.

[3] Il cercatore di chiome non era solo una figura nata dalla tenacia e dalla furbizia del mondo delle Alpi. U cap’llèr attraversava i vicoli e le stradine della Puglia e della Campania gridando “Capìll ò cap’llèèèèèrrrr” anche lui, come Giacomo, alla ricerca di donne interessate alla vendita dei propri capelli. Latitudini diverse, stesse povertà. Si diceva allora, forse per una mal riposta superiorità nord against sud, che lì i capelli fossero di minore qualità.

[4] Il Terzo Occhio lo possediamo tutti. Ci dà la capacità di vedere al di là della vista ordinaria. Anche se mistici e terrapiattisti parlano dei misteriosi poteri del Terzo Occhio (ad esempio una maggiore coscienza e percezione o persino la capacità di auto-guarigione), a livello più umano il Terzo Occhio denota intuizione spirituale, ci permette una visione della nostra anima interiore. In poche parole capiamo meglio l’essenza della (nostra) vita. E, un poco, anche quella degli altri.

[5] I cacciatori di capelli partivano in cerca di donne disposte a tagliare la loro chioma, che all’epoca si portava lunga e raccolta in trecce, in cambio di qualche lira, un foulard, un po’ di stoffa. Allora, nelle Valli alpine, i talebani c’erano già. Parroci, mariti, suoceri che obbligavano le ragazze a nascondere nei fazzoletti i propri capelli e, ironia della sorte, questi crescevano lucidi, morbidi, perfetti per diventare la parrucca di qualche lord inglese.

[6] Certo vi aspetterete che Faggiani venga paragonato a Mario Rigoni Stern ma, a mio parere, Franco può ben mettersi (più) comodamente a fianco di Charles-Ferdinand Ramuz.

[7] Nell’edizione cartacea, per ora unico numero, di AA Arcipelago Altitudini, Faggiani propone un racconto, “Rebolino, il circo che ti sta vicino”, ambientato nel piccolo paesino di una Valle Bergamasca che pochi conoscono, eppure la descrizione dei luoghi e, soprattutto, dell’humus sociale, al di là della luminosa qualità della scrittura, fa dell’autore un cittadino (montanaro) onorario del posto. E così, il titolo di montanaro onorario dovrebbe essergli assegnato anche per questo romanzo che contiene tutta la montagna cuneese, con la sua gente ruvida, l’odore di origano selvatico, le morbide praterie assediate dai boschi, le grandi pareti rocciose accecate dal sole che precipitano sui pascoli dritte e compatte, senza sbavature, come guance ben rasate, il suono ipnotico della ghironda, le merende sinoire.

L’INVENTARIO DELLE NUVOLE

Autore: Franco Faggiani
Editore: Fazi Editore, 2023
Pagine: 296
Prezzo di copertina: € 18,50

Fazi Editore

Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


Il mio blog | Scrivo su altitudini.it da molto tempo. Mi piace starci perché, nonostante sia virtuale, è un luogo dove la concretezza delle persone e delle montagne è sempre lì: da toccare.
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4 commenti:

  1. Loredana ha detto:

    Grazie Davide! Leggerò poi tutto con calma. Ho sempre apprezzato e ammirato la tua passione per la montagna e la tua capacità di comunicare ciò che vivi. Continua a farmi questo dono. Grazie! Ti abbraccio forte

  2. Adolfo Enzio ha detto:

    Dopo aver letto la prefazione di Davide è quasi obbligatorio cercare il libro per leggerlo. Spero di trovarlo. Grazie Davide.

  3. roberto pedrazzoni roberto pedrazzoni ha detto:

    Grazie Davide, non fai che confermare la mia passione peri libri di Faggiani, lo aspettavo, è arrivato.

  4. Silvia ha detto:

    Ciao Davide, dopo la tua prefazione non si può far altro che andare in libreria, acquistare il libro ed iniziare subito a leggere il romanzo.

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