Ti scrivo da dietro il muro di Betlemme,
poiché dietro vi è un lento martirio di umanità.
Qui vanno gli usurpatori della libertà,
i calpestatori della pace, sui corpi delle donne e dei bambini.
Come spiegare a loro che dormono
nei letti caldi i figli di Betlemme.
Ti scrivo dalla redenzione dei giovani martiri di Hamas
e dal terrore diffidente dei ragazzi di Tsahal
e questa è per me una storia di Natale,
qui in questo posto dove ebbe inizio questo nome,
per ricordarti che per raccontarti essa ora,
c’è bisogno di una resurrezione nuova,
c’è bisogno dell’armonia delle loro anime,
perché in questa babilonia di corpi
molti morti vorrebbero tornare.
Ti scrivo dai miei occhi fissi sui cimiteri,
dove rimane la cenere dei loro corpi e la carne
e il lutto porta uguale sconforto sopra uguali sassi.
Eppure ammetto, anch’io non so bene
quale cielo sia più azzurro,
se davanti o dietro questo muro.
Ma denuncio e non approvo
quella pietra che sollevata nella storia
porta il nome di un destinatario.
E denuncio e non approvo
un muro di cemento
e i figli di Betlemme che giocano a pallone
senza il rischio che anche per un poco, possa volare più lontano.
Ti scrivo da sotto il tappeto di una mangiatoia,
per rispetto a un lieto evento,
perché nessun nemico vi ha mai poggiato di fronte le mani armate.
Io, perché nella mia nullità dovrei rendere secoli a quell’istante.
Ti scrivo, perché mi è stato chiesto di scrivere
ed era un Natale di maggio.
Seduti a un tavolo siamo stati novizi di affinità e intesa, Kamal e io.
A turno hanno parlato i nostri occhi.
Ti scrivo con la schiena curva per l‘umiltà di una porta.
Qualsiasi luogo raggiunto è per me una riverenza,
ma ho chinato ogni mio giudizio davanti ad essa,
poiché penso, non vi è storia più importante di quella di un bambino appena nato.
Ti scrivo dalla tomba di Rachele
che piange i figli e non vuole essere consolata.
Nell’ospedale della Sacra Famiglia a Betlemme
quando lavano i capelli ai bambini, profumano di universo.
Mai sentito questo odore?
Ti scrivo qui dove tutti possono leggere. Ti scrivo per dirti della Grazia di ascoltarti, ti scrivo per una carezza trattenuta nella mano. Ti scrivo per dirti che il tuo essere poeta è un dono troppo doloroso che io vorrei mai, ma di cui mi servo per respirare. Ti scrivo per dirti buon Natale.
Sono stati veramente innumerevoli le amiche e gli amici che ricevendo questi singolari racconti natalizi hanno espresso note positive. Riguardo la poesia di Roberta abbiamo ricevuto ieri una lunga telefonata di una suora salesiana. Ci ha detto che leggendola lei e le altre suore (sono in una casa accoglienza proprio dietro alla stazione Centrale di Milano) si sono molto emozionate ricordando come in alcuni dei luoghi da cui la lettera potrebbe partire loro hanno delle sorelle. Suore che vivono lì, dove il lutto porta eguale sconforto. Siria e Myanmar ad esempio. Ecco.
Con altitudini, noi, voi, muoviamo a fatica delle montagne non sempre di roccia. A volte ci chiediamo il perché.
Ecco una risposta.