Racconto

Di chi è la montagna? #6

In Valturcana ho la casa vecchia dove sono nato e che cerco di tenere in piedi, due pezzetti di prato ripido da falciare, un boschetto piantato da mio padre.

testo e foto di Antonio G. Bortoluzzi  / Alpago (BL)

30/01/2020
2 min
Nei giorni scorsi mi sono fermato in un luogo, che avevo sotto gli occhi da decenni e che mi ha fatto riflettere.

#6 – Valturcana, Alpago, Belluno

Passo ormai da 54 anni lungo la vecchia strada della Valturcana, una piccola e quasi disabitata valle che è stata abbandonata negli anni successivi all’alluvione del 1966, è nella conca dell’Alpago, in provincia di Belluno; la strada sale tutta curve tra borghi e vecchie stalle dall’abitato di Cornei a quello di Tambre, tra i 500 e i 900 metri sul livello del mare. In Valturcana ho la casa vecchia dove sono nato e che cerco di tenere in piedi, due pezzetti di prato ripido da falciare, un boschetto piantato da mio padre dove i frassini svettano diritti verso il cielo.

Oggi, in un gennaio che non sembra nemmeno un mese d’inverno, mi sono fermato a guardare una ròsta, un piccolo torrentello regimentato, lo stesso che osservavo quando ero bambino e ci passavo a piedi per raggiungere una stalla più a monte con mio nonno, mia madre e i miei cugini. Avevamo sempre un attrezzo in spalla o uno zaino con qualcosa per il pranzo. Magari ci fermavamo un momento per prendere fiato vicino alla fontana: non era una vita facile fare i contadini sui prati ripidi, cercare di ricavare qualcosa dal lavoro delle braccia, dalle bestie in stalla. In ogni caso tutti dovevano darsi da fare, per amore o per forza, anche i bambini, appena riuscivano a tenere in mano un attrezzo, poniamo il rastrello, che è meno pericoloso della forca o della falce.

La prima cosa che ho notato è che l’acqua piovana scende da secoli, nelle stesse piccole vallette: in certi periodi dell’anno sono asciutte e sembrano quasi inutili, mentre quando piove forte fanno impressione e l’acqua arriva alla strada. Mi sono detto che quella buona norma di lasciare liberi gli alvei, di non interrarli e di non costruirci vicino l’abbiamo sempre saputa, ed è curioso che quando accade qualche tragedia ci vengano ricordate queste norme del buon senso contadino.

La seconda cosa che ho visto è una targa: Corpo Forestale 1952. In anni odierni, quelli del localismo esasperato (per cui ogni problema sembra venire da Roma o dall’Europa) vedere quel manufatto dello Stato, proprio dell’amministrazione pubblica, mi ha fatto un certo effetto. Lo Stato ha finanziato l’opera di regimentazione delle acque in una povera valle delle Prealpi. Probabilmente dentro quel piccolo lavoro degli anni ’50 ci sono delle Lire che venivano da chissà quale lavoratore, da chissà quale posto d’Italia attraverso le tasse.

La terza cosa che ho visto, osservando la ròsta, non è un ragionamento ma un insegnamento: le persone che vivono a ridosso di questa piccola acqua hanno cura dei loro prati, degli alberi, delle stalle. Di più, queste persone hanno cura di chi sta a valle e ogni giorno hanno l’occhio attento e la mano laboriosa per governare la terra falciando i prati, liberando le cunette. E non lo fanno da un giorno o da un anno, ma da secoli e perfino oggi, senza che nessuno dica loro grazie.

Il “quadro” che ho visto in Valturcana mi ha mostrato queste tre cose: assecondare sempre la natura della montagna, sentirla patrimonio di tutti e fare ognuno il proprio dovere.
E c’è una cosa personale, una specie di desiderio impossibile: se potessi tornare indietro di 40 anni e dire a mio nonno che ho capito solo di recente quanto era importante quello che facevamo allora, anche controvoglia e bestemmiando, sarei felice. Perché la montagna, come i figli e i nipoti, è di chi ne ha cura.

Antonio G. Bortoluzzi

Antonio G. Bortoluzzi

Sono nato nel 1965 in Alpago, Belluno, dove tutt’ora vivo e lavoro. Nel 2019 ho pubblicato il romanzo “Come si fanno le cose” (Marsilio Editori) e nel volume collettivo “Lettere da Nordest” (Helvetia Editrice) il saggio “Un’invenzione spettacolare: la montagna come solitudine”. In precedenza, nel 2015, avevo pubblicato il romanzo “Paesi alti” (Ed. Biblioteca dell’Immagine) con cui ho vinto nel 2017 il Premio Gambrinus - Giuseppe Mazzotti XXXV edizione nella sezione Montagna, cultura e civiltà. Lo stesso romanzo era stato finalista al Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo 2016 e al premio letterario del CAI Leggimontagna 2015.


Link al blog

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Esplora altre storie

Una lunga barba bianca. Ai miei occhi lui era l’emanazione stessa del bosco, il... Una lunga barba bianca. Ai miei occhi lui era l’emanazione stessa del bosco, il custode e il detentore di tutti i suoi segreti. I ricordi...

Arco Rock Star, le foto vincitrici al contest internazionale di fotografia di arrampicata tenutasi... Arco Rock Star, le foto vincitrici al contest internazionale di fotografia di arrampicata tenutasi durante gli Adventure Days ad Arco. ...

Cento giorni di solitudine, a tu per tu con la montagna, con le sue... Cento giorni di solitudine, a tu per tu con la montagna, con le sue regole, i suoi segreti. Lontani dai frastuoni e dalle frette...

Si conclude la cinquina delle nostre proposte di buone letture per l'estate con una... Si conclude la cinquina delle nostre proposte di buone letture per l'estate con una sorpresa: un libro in più. Sei libri come il Premio...

Toc, toc, toc; il martello si abbatte in modo ritmico sulla lamiera del tetto... Toc, toc, toc; il martello si abbatte in modo ritmico sulla lamiera del tetto di un edificio che non so ben identificare. Toc, toc, toc;...

Ci sono sentieri da salire al buio, che percorri per un’esistenza intera, una volta... Ci sono sentieri da salire al buio, che percorri per un’esistenza intera, una volta l’anno, sempre la stessa notte, perché per te che non...

Più di un anno fa ho incontrato il romanzo di René Daumal, il Monte... Più di un anno fa ho incontrato il romanzo di René Daumal, il Monte Analogo. ...

Quando dico che l'Appennino Emiliano in veste invernale è imprevedibile, lunatico... ... Quando dico che l'Appennino Emiliano in veste invernale è imprevedibile, lunatico... ...

Non c’era altro che bianco intorno a me. Tra la nebbia e la neve... Non c’era altro che bianco intorno a me. Tra la nebbia e la neve a stento riuscivo a distinguere gli spogli rami degli alberi....

La storia degli ultimi sei abitanti di Monteviasco, il borgo che non ha mai... La storia degli ultimi sei abitanti di Monteviasco, il borgo che non ha mai avuto una strada. ...