Reportage

Di chi è la montagna? #1

testo e foto di Davide Torri

08/07/2019
3 min
Ecco un bel quesito da risolvere durante questa bollente ultima estate prima del disastro (climatico-ambientale-sociale). In effetti non è che sia quel gran fondamentale per l’esistenza dell’umanità ma sempre meglio dei gattini e dei panini con la salsiccia.

Di chi è la montagna? Qualcuno se lo è già chiesto. Di questi tempi sembra facile rispondere: prima i montanari. E già. Brao! Ma quali montanari? Quelli delle Alpi, o, gli altri, dell’Appennino? Quelli con il suv cromato che scorrazzano nelle piazze omologate delle Perle o quelli con la Panda Sisley con la calamita di Padre Pio? Quelli che affittano le seconde case o quelli che accolgono nuovi abitanti nelle nicchie lasciate vuote da altri? Beh, non è così semplice la risposta. Io una ce l’avrei anche ma, per ora, me la tengo in tasca. E, magari, ci possiamo arrivare insieme alla soluzione.
L’idea è di raccontare piccole cose, storie brevi e vere, fotografie di una giornata nelle terre alte. E capire, un poco di più, forse di  chi è la montagna.

#1 – Ponna Inferiore, Valle d’Intelvi (CO)

Non la faremo più la Festa.

Fa caldissimo e fanculo i terrapiattisti (che certo non credono al riscaldamento globale). Seicento metri, se guardi ad ovest il Lago di Como, se a nord il Lago di Lugano ma la cosa non aiuta a rendere più fresca l’ombra di sbiaditi ombrelloni Eldorado. Alla festa del paese si servono piatti generosi di polenta e brasato (polenta vúncia per i vegetariani. I vegani lì combatte Mazinga). C’è parecchia gente, il paese per quanto piccolo (e disabitato) si divide in Superiore, di Mezzo (come quelli del Signore degli Anelli) e Inferiore. Dove siamo oggi. Vociare in dialetto, in protoitaliano e svizzero (che mica è una lingua in effetti), si beve un torrente di birra e, in proporzione, un fiume di vino rosso. Solo la prima è fredda, il secondo è a temperatura ambiente: brûlé.

Tra i tavoli servono veloci, gentili ed efficienti un mio carissimo amico milanese, sua moglie, nata tra quei vicoli di pietra, tre dei suoi quattro figli (il quarto è ad allenarsi in bici a Corvara, che almeno suda al fresco), in cucina sua suocera e suo suocero, giovanissimi nonostante i loro ottant’anni. Seduti la gente del posto, canottiere sudate, mani grosse e tutti a dar dietro alla sbruffoncella. In piedi, bolliti nonostante il brasato lui, il Vittorio, la sua bella famiglia ed una omeopatica  percentuale di aiutanti indigeni.

La frazione è ben tenuta. In tanti hanno emigrato in Svizzera, nel Milanese ed anche più lontano ma tornano ogni estate. E si portano mogli, mariti, figli, nipoti, badanti. La casa di Vittorio è stata ristrutturata con attenzione e rispetto, non grande ma accogliente e, ora che si è fatta sera, anche fresca.
La stanza più bella è la falegnameria dove con i suoi figli dà vita a legni e oggetti che altrimenti non lo sarebbero.
Beviamo un bianco perfetto, qualche ciliegia e una manciata di lamponi sono la nostra cena.

È stanco, sono stanchi. Sua moglie, in acciaio inox, lo è più di tutti. «Non la faremo più la Festa. Nessuno ci ha dato una mano, nemmeno a raccogliere e chiudere i tavoli alla fine. Sono solo pronti a criticare se la porzione non è mostruosa. Non la faremo più la Festa». E la dodicesima estate che lo dice.

Vittorio
Vittorio

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


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