Una vecchia donna, una vecchia scopa, un vecchio maggengo in rovina e le metamorfosi delle parole e dei tempi: Epiphânia, Pifania, Bifania, Befania, Befana.
Abbiamo raggiunto il maggengo abbandonato a mezzogiorno. Il gruppo di carden è situato su un dosso eroso ai lati da due impetuosi torrenti; è un promontorio che fa da spartiacque nel punto in cui la grande valle innevata si restringe verso il poderoso salto della forra scavata dall’azione glaciale. Qui la neve si è depositata nei giorni scorsi, ma è stanca del calore ed è flaccida e pesante, impregna la terra e sgocciola dai tetti in lastre di pietra dei fienili in legno, costruiti a blockbau più di duecento anni fa – come si nota da un’incisione di fine Settecento scolpita su un architrave.
Dopo notti di sogni inquietanti e il calore ancora più preoccupante di questi inizi di gennaio, io e Marco abbiamo pensato di recarci nuovamente in questo luogo per provare a rendere manifesto lo spirito effimero dell’aria di questo strano inverno e celebrare un momento dell’anno particolare: l’Epifania, l’ultima delle dodici notti.
Affascinante e ben scritto, ci riporta in un mondo di sogni e di miti. Grazie
Grazie Cipriano per questo commento. Nell’inverno trovo sia molto bello ritrovare la dimensione dei racconti, dei miti, del tempo e mi fa piacere aver condiviso queste sensazioni.
Sei parte della natura.
La natura é parte di te.
L’anima che ti anima é amore puro e poesia……..racconto e armonia….libertá e felicitâ……..vita….
Vita!!!!
Grazie Marco! Vita anche in inverno, vita anche di fronte alle cose che scompaiono, vita nel tempo che passa, nelle stagioni e nelle storie!