Bestemmiare è da maleducati. Se sei credente è pure peccato mortale.
Dicono che Dio si offenda se lo insulti, anche nel caso in cui abbia permesso al destino di farti pestare una merda prima di un colloquio o di sbattere il dito del piede contro uno spigolo. Se Dio è infinita sapienza, oltre a tutte le altre cose che condivide con Google, non credo gliene importi più di tanto se a una delle sue miliardi di creature, formiche incluse, scappa una bestemmia.
Dio, in quanto essere permaloso, me lo immagino come “il Monsignor”, il prete della mia parrocchia quando ero piccolo. Il Monsignor era gentile, non rideva mai ed era alto, curvo e nero, con gli occhi incavati, le mani gelide, pochi capelli bianchi e un odore di chiuso: parlava di “Dio e Satana”, di peccati mortali, di inferno, tenendo un minaccioso dito davanti a sé. Solo più tardi, col passare degli anni, noi bambini saremmo diventati allegri bestemmiatori, superando quelle minacce infernali. A volte io me lo immagino così, Dio, come “il Monsignor”.
Ieri sono uscito di casa con l’idea di salire su una delle cime del Pelmo. Ho preparato uno zaino con i ramponi, la picca, una giacca e un pasto da consumare in vetta. Sono partito tardi, sapendo che avrei recuperato un po’ andando veloce. Invece dopo 200 metri ero piegato su me stesso, senza fiato, con la nausea. Dopo un’ora mi sono seduto sull’erba, in mezzo alla neve, e ho guardato la valle, pensando alla leggerezza che provi quando stai bene e il tuo corpo ti porta in giro. E ho bestemmiato. La montagna e un’onda del mare vivono lo stesso destino: le prime sembrano eterne ma non lo sono. Sono solo più longeve di me e di un’onda. Prima o poi l’onda finisce su una spiaggia, addosso al grido di un bambino, ed io mi consumo, come le mie ginocchia. Il mio restare senza fiato è conoscere la mia transitorietà. Il mio fare le cose un’ultima volta, ogni volta.
Mia mamma ha 84 anni. Nel giro di qualche anno è passata dall’andare Padova a piedi partendo da casa — sono circa 15 km — a non camminare quasi più. Per lei ogni cosa ha in sé il senso della fine, un “non fare più” le cose. Come se anche scendere le scale potesse essere un addio al “fare le scale”. La differenza tra me e lei è che il suo tempo è feroce e ogni giorno le fa pesare qualcosa. Il mio è più gentile e si fa sentire soprattutto nelle mie ginocchia. Mia mamma dice addio, io tocco con mano la trasformazione. Come un’onda, come una montagna. L’onda finisce su una spiaggia, la montagna diventa sasso e polvere, io divento vecchio.
Trasformarsi in qualcos’altro, ogni giorno, può essere una salita o una discesa. Domani potrò essere più forte o più debole. La differenza è a volte nelle ossa, che son come le onde e le Dolomiti, a volte in qualcosa di gentile, che trovo nelle persone, nella luce, nella temperatura del mattino, nella brezza e che mi fa sentire forte.
Non ho mai visto una balena e mi piacerebbe molto. So che mentre batte il mio cuore, una balena sta nuotando elegante da qualche parte. A volte, altre volte, Dio me lo immagino così: come una balena gentile.
Dedicato a GioZac, che sale le montagne di notte mentre io scrivo.
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